Sentinelle di casa nostra

Nel post in cui denuncio il rischio di devastazione al Piano di Vassola, ho riportato la lettera di Paolo Rumiz inviata al 98° Congresso Nazionale del CAI di Predazzo in cui il giornalista e scrittore, socio CAI da decenni, esortava il Sodalizo a costituirsi come lobby in difesa delle montagne oramai da decenni sotto il mirino di progetti che rappresentano più che altro la scusa per speculare disinteressandosi completamente delle devastazioni che causano.

L’ultimo numero della Rivista del CAI (marzo-aprile), come ho preannunciato in questo post, ha dedicato ampio spazio alle tematiche concernenti proprio la difesa dell’ambiente naturale. Paolo Rumiz è stato intervistato proprio su questo tema.

Nella lettera inviata al Sodalizio per il Congresso di Predazzo lei sostiene che il ruolo del CAI come “sentinella della montagna” vada ripensato. In che senso? Io sono triestino, ho vissuto più di altri il CAl come sentinella della nazione su una linea che è stata quella della cortina di ferro. Mettere la bandierina sulle cime o mettere nomi italiani a montagne fuori d’Italia, salirle, era un atto per ribadire l’italianità di queste terre. Oggi questo atteggiamento e questa filosofia del CAl, che era molto viva lungo la frontiera da Trieste a Tarvisio, è lentamente cambiata: oggi la frontiera è scomparsa, la Slovenia è parte dell’unione europea, quindi le montagne tornano ad essere quella di sempre. Alla mitologia e alla retorica del bastione invalicabile si è sostituita quella della montagna come luogo di transito. Non più le Alpi come bastione ma come luogo di passaggio e di collaborazione tra i due lati della montagna Ho sentito questa metamorfosi sulla mia pelle, e l’ho sentita sicuramente di più rispetto a come la può percepire un alpinista dell’Aquila o di Bergamo. Oggi il nemico è un altro, non è più chi sta dall’altra parte: il vero nemico è il “sacco” della montagna. Viviamo un momento terribile in cui c’è un assalto alla baionetta alle ultime risorse pulite del paese, che si trovano tutte quante in quota. Ciò avviene in presenza di tre fattori: primo, lo spopolamento della montagna e quindi la sua incapacità di essere massa critica e reagire, di pensare alla lunga e di pensare in grande; secondo, il distacco tra città e montagna – ad esempio sulla questione della TAV la Valle Susa era in totale conflitto con la logica di Torino, non c’era una mediazione, un tentativo da parte dei capoluoghi di metabolizzare e rappresentare le proteste della montagna; e, infine, il fatto che in un Paese che è per tre quarti montagna non vi è un ministro montanaro – l’ultimo è stato Bersani – e credo nemmeno dei sottosegretari: quindi il bene primario, il bene più corteggiato, il bene dove si nascondono tutte le ricchezze future del paese, è quello meno rappresentato, completamente dimenticato. lo credo che questo non sia casuale, perché sono convinto che sia in atto una politica di rapina che si perpetrerà nel silenzio se non si fa nulla.

Occorre costruire nuove alleanze tra montagna e città. Chi deve costruire queste alleanze e con chi? Ovvero, quali sono gli attori e quali i contenuti della nuove alleanze?

Sicuramente l’alleanza non ha niente a che fare con i partiti. E’ una alleanza tra Enti locali, in cui i Sindaci e le Comunità montane, per quello che di esse rimane dopo i sanguinosi tagli alla finanziaria, devono relazionarsi e fare sistema. Lo dico perché ormai la montagna è il peggior nemico di se stessa: da una parte per un discorso speculativo, dall’altra perché non ha più la capacità di opporsi a nulla.
Ad esempio, oggi un sindaco di un piccolo paese di montagna, privato dell’ICI, venderebbe anche sua madre per avere qualcuno che gli finanzi l’illuminazione pubblica; i Sindaci sono in balia di ricatti: è chiaro che se arriva un signore da fuori con una valigia piena di soldi e dice: “ti secco il tuo fiume o le tue sorgenti in cambio di un contributo sostanzioso”, ecco che il sindaco non può far altro che accettare. Ma così si svende il paesaggio, si svende la nazione si svende il grande bene comune che è la cosiddetta res publica. In questa situazione la montagna ormai non può più farcela da sola: la montagna può essere ricchissima in alcune zone, specialmente nelle Regioni a Statuto Speciale, o può essere il buco nero di povertà e di deprivazione. In entrambi i casi, e specialmente nel secondo in cui si manifesta un totale distacco dalla difesa del paesaggio – mentre nel primo si tratta di una forma di egoismo – è centrale il ruolo degli Enti locali: Belluno deve essere il luogo riferimento del bellunese, Sondrio della Valtellina, Cuneo per la Val Maira, Torino deve ritornare ad essere il punto di riferimento positivo e non truffaldino delle valli del suo territorio.

In quest’ottica cosa deve fare nel concreto il CAI?

Il CAI proprio qui serve! Ha una forza lobbistica formidabile e non deve farsi impaurire da pressioni di vario genere. Secondo me, con tutti i Soci che ha, il CAI potrebbe agire a livello politico – sottolineo: politico non partitico – in difesa della montagna, perché ha tutta la dignità necessaria per rappresentare questa fetta gigantesca del paese, che è più della metà del territorio nazionale. Il CAI ha la possibilità unica di agire per costruire questa sintesi tra territori e enti locali.

Attraverso quali strumenti concreti dare corpo e supporto a questa azione di lobby?

Oggi esiste solo ciò che fa notizia, purtroppo fanno sempre più notizia le stupidaggini, cioè l’intelligenza passa sempre molto poco nei media. Un sindaco che dice “i ristoranti etnici che vendono il cous cous devono obbligatoriamente offrire anche la polenta” fa notizia, mentre un altro sindaco che dice “lavoriamo per la salvaguardia ambientale, stiamo attenti con l’energia eolica, con le centraline sui fiumi” passa molto di meno sulle pagine dei giornali, anche se porta avanti un discorso costruttivo e costruito sull’intelligenza. Per esistere occorre ‘bucare’ stampa e la televisione, e bisogna offrire forti immagini simboliche. È fondamentale che il CAI faccia qualcosa in questa direzione: ad esempio un azione paragonabile a quella che fece Lega negli anni ’90 quando occupò il Po, a prescindere dai risultati e dalla coerenza interna del movimento, che sono tutte da discutere. Sarebbe importante dare vita ad azioni di massa di questo tipo, in cui decine di migliaia di persone decidono di presidiare un luogo per dire “attenti, questo luogo è importante: oltre non possiamo andare”. Ancora, è fondamentale che il CAI riesca a diventare il punto di riferimento per chi sul territorio vede delle cose che non vanno, il CAI deve essere il presidio a cui giungono i segnali d’allarme che nascono dal territorio. Tutti questi deboli segnali che arrivano dal territorio, se l’allarme è giustificato e senza creare allarme sull’allarme, vanno messi in rete per far capire alle persone e al territorio che non sono soli. Questo è il compito del CAI. lo, nel mio piccolo, ho un dossier di segnalazioni che vanno dalla Sicilia all’Alto Adige, un archivio talmente vasto e impressionante che faccio fatica a gestire. Per farIo avrei bisogno di dedicarrnici a tempo pieno e con risorse umane ed economiche ad hoc, per poter andare andare a vedere cosa succede, e trasformarlo in protesta e azione politica in senso alto.

Dunque lei vede nel CAI un riferimento autorevole a cui si rivolgonoil territorio e la gente della montagna. Una associazione che non deve temere di fare politica e di essere lobby in senso alto del termine, capace di mobilitare le persone, e infine un CAI con una forte competenza comunicativa per trasformare la protesta in notizia…

E rilancio: il CAI non solo dovrebbe segnalare, fornire la notizia alla magistratura, ma dovrebbe anche costituirsi parte civile. Quando si saccheggiano porzioni di territorio, quando si toccano i beni fondamentali della nazione si deve fare da cernIera tra le istanze di sacrosanta protesta che si elevano dal territorio e l’azione civile e politica di denuncia e tutela della montagna. C’è, ad esempio, una alluvione: il CAI deve dire “questo è il risultato dell’ abbandono della montagna”. Ogni volta che si verifica un grande evento naturale, le cui conseguenze sono riconducibili a all’abbandono della montagna, il CAI deve prendere posizione a partire dagli organi centrali. Ed ecco il ruolo di sentinella che si aggiorna per essere cane da guardia verso il nemico interno. Si devono smascherare le responsabilità. La natura, ripeto, è “roba nostra” e il CAI deve farsi sentire, non possiamo diventare vittime o corresponsabili silenziosi di lobby che vogliono mettere le mani sulla montagna. Scrivi pure, che ricordo con commozione il vecchio Rigoni Stern, quando prima di morire mi ha detto: “amico mio, questa è una battaglia dura da continuare”. Non mi ha detto “continuala tu”, ma me lo ha detto in un modo che era inevitabile pensarlo per cui quando ci ha lasciato, io ho sentito un brivido .., non posso tirarmi indietro da questo impegno, anche se non è il mio lavoro.

Beppeley

7 pensieri riguardo “Sentinelle di casa nostra

  1. Coincidenza? Questa mattina, facendo colazione, leggevo dell’articolo di rumiz sui siti sciistici abbandonati nelle alpi liguri, ed ora lo ritrovo qui, come sentinella “alpina” in ambito CAI. E giusto una settimana fa ho ritrovato pubblicato sul notiziario del CAI di Rivarolo un mio vecchio articolo sulla val rosandra, e Trieste. Coincidenze?
    Ciao
    gp

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  2. “La montagna non sa fare sistema, il campanile impera ancora”.
    E’ davvero questo il problema. Toccato personalmente con mano. Manca la visione d’insieme della montagna. Comunque se ci si rivolge al CAI è prorprio per tale motivo. Il Club Alpino è Italiano e non Locale o, peggio, di paese. La passione per la montagna, e per i suoi abitanti, è davvero spontantea e disinteressata. Cosa di non poco conto di questi tempi dove, per ogni intento di origine politica, c’è troppo spesso un tornaconto personale e illecito. I politici sono marionette governate dai giganti danarosi, come li chiama Rumiz.
    Saluti.

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  3. D’accordo, però il problema non è fare la barricata per avere la montagna incontaminata in stile megaparconaturale. Bisogna che ci sia qualcuno che sappia indicare una nuova via di sviluppo, certamente prossima alla natura, ma non vincolistica come oggi avviene. Non credo che il CAI sia in grado di sviluppare questo discorso, siamo forse su un piano più alto, ma spero di sbagliarmi.

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