Natale si sta avvicinando e ho pensato di lasciare in questo blog un augurio speciale a tutti voi riportando un breve brano del libro Il segno dei giorni, di Ariela Robetto. Farete, nel giro di pochissimi minuti, un viaggio tra Oriente e Occidente, tra bene e male, tra angeli e demoni.
Tra storia e cultura delle Valli di Lanzo.
[…] Il Natale ha preso, verso la metà del secolo IV, nella Chiesa d’Occidente, il posto della festa di Mitra, Natalis solis invicti, cadente secondo il calendario romano il 25 dicembre, ritenuto erroneamente solstizio d’inverno al posto del 21.
Mitra era una divinità iranica, il cui culto fu diffuso nel II-III secolo d.C. dai soldati delle legioni romane che lo avevano conosciuto nelle campagne d’Oriente. Era identificato con il Sole e veniva adorato nei mitrei, santuari che in Roma erano circa in numero di duemila: si trattava di sale sotterranee in cui gli adepti consumavano il pasto comune, uno degli atti solenni del culto che richiama il banchetto eucaristico della tradizione cristiana. Nei mitrei si svolgeva un servizio quotidiano rivolto alla statua, un altro settimanale per santificare la domenica, infine la grande festa annuale del 25 dicembre, anniversario della nascita del dio solare, immaginato uscente da una rupe. A sostegno di tutto vi era una dottrina centrata sui benefici scaturiti dalla vittoria divina sul male (identificato con il toro), ricca di contrapposizioni dualistiche tra angeli e demoni, tra bene e male. Il banchetto mitraico ripeteva quello celebrato da Mitra vittorioso con i suoi alleati all’ origine del tempo e anticipava quello finale quando, secondo le credenze, Mitra avrebbe suscitato i morti dal sonno e separato i giusti dai malvagi. La Chiesa fissò la data del Natale al 25 dicembre (prima si festeggiava il 6 gennaio insieme al battesimo di Gesù) con lo scopo di combattere il mitriacismo, diffusissimo nell’Impero Romano, ma anche l’eresia manichea secondo la quale Gesù non sarebbe realmente esistito.
Come già si è detto, si riteneva che il 25 dicembre corrispondesse al solstizio d’inverno, così come il 24 giugno, festività di San Giovanni Battista, era indicato erroneamente come solstizio d’estate. Erano entrambe date cariche di presagi, giorni liberi dai malefizi, in cui non si era soggetti agli influssi delle forze negative. Per questo nelle Valli di Lanzo il pane si cuoceva solamente due volte l’anno, nella luna di Natale ed in quella di San Giovanni. Lo pàn do Natal si conservava per tutto il semestre: poiché diventava durissimo, per l’uso, si avvolgeva in un telo e poi lo si batteva con un martello di legno per frantumarlo e consumarlo con il caffelatte a colazione. Non si usava negli altri pasti dove era sostituito dalla polenta. Veniva preparato con la farina di segale a volte mista a quella di castagne; a Viù in occasione della festività del S. Natale si cuoceva un pane di pura farina di castagne, il quale era denominato la micaci e veniva consumato come un dolce tradizionale; nella bassa valle si seminava un po’ di grano, ma era usato, tostato, in sostituzione del caffè, così come l’orzo e la segale abbrustoliti; in seguito si usò il caffè olandese, mentre il caffè vero si vedeva di rado… Lo si adoperava solamente quando qualcuno si sentiva male. Il cuocere il pane in questi due giorni ritengo avesse anche un intento propiziatorio per una futura abbondanza; era uso, infatti, in diverse regioni d’Europa, ricorrere a riti per favorire la prosperità: era diffusa la consuetudine che, quando il ceppo era messo nel fuoco, la donna anziana vi spargesse sopra frumento affinché si avesse una annata abbondante; in Bulgaria le donne, un tempo, preparavano ciambelle natalizie con disegni significanti l’aia con numerosi covoni, il pastore con il gregge, l’aratro nel solco…
La novena di Natale era anche il periodo giusto per conservare le mele an compòsta: si stivavano le mele rugginose, i pom rusnent, in un recipiente ad imboccatura larga, poi si ricoprivano con àiva dla novòina ‘d Natal (acqua della novena di Natale) e si ricopriva l’imboccatura del recipiente con una manciata di paglia; sul vaso si appoggiava poi una pietra in modo da tenere le mele ben sommerse nell’acqua. Dopo un mese la frutta fermentata poteva essere consumata.
In alcuni paesi delle Valli di Lanzo il giorno di Natale era deputato per fare il bucato: le lenzuola diventavano più bianche e la tela si rovinava meno con il lavaggio. A Cantoira qualche donna conservava lo lisiass (la saponata del bucato) per darlo da bere alle mucche quando si ammalavano. Come possiamo notare l’acqua di Natale aveva poteri particolari come nella notte di San Giovanni, poteri magici e curativi che derivavano evidentemente dal momento solstiziaIe.
Altra pratica propiziatoria era quella in uso la notte dell’ultimo dell’anno: a Lities (Cantoira) ai bambini veniva consegnato un cavagnet (cestino) pieno di trifolin (le patate piccole, che non hanno raggiunto la grandezza sufficiente); essi dovevano sgranarle come un rosario recitando un Pater per ogni giorno dell’anno, impetrando dal cielo abbondanza nel raccolto, salute, prosperità per il bestiame… […]
Tratto dal libro Il segno dei giorni – Ricorrenze e tradizioni nelle Valli di Lanzo.
Ariela Robetto
Daniela Piazza Editore
Questi aspetti culturali mi hanno sempre incuriosito moltissimo. La storia è sempre affascinante: scavando nel passato, si possono comprendere le mille sfaccettature di un territtorio. E’ un pò come aprire la scatola dei ricordi di una persona e ricomporre il suo puzzle personale.
Per chi fosse interessato in particolare alla storia e cultura delle Valli di Lanzo consiglierei un libro che io ho trovato stupendo:
"Valli di Lanzo : bozzetti e leggende" di Maria Savi-Lopez
Si possono reperire delle ristampe, il testo originale è del 1886. Una vera e propria avventura condotta dall’autrice in queste Valli, quando molti dei centri principali erano raggiungibili solo a dorso di mulo lungo i sentieri. Storie di chiodaioli di Traves, di famosi "viperai" della Val di Viù e molto altro….
Buon Natale e Buone Feste a tutti!
Franz
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@ometto83: posso aggiungere che senza il nostro passato, da conoscere, su cui soffermarsi, da riflettere, da parlarne, come facciamo noi ogni tanto tra i monti, durante le nostre escursioni, non sappiamo minimamente dove andare?
Auguri!
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L’intelletto sarebbe dovuto servire a migliorare il passato, riducendo le fatiche per ottenere lo stesso risultato.. poi abbiamo perso la bussola, come giocatori da casino’, e siamo entrati nel tunnel dell’ipocrisia.
Speriamo di svegliarci per tempo, se no altro che Copenaghen…
Auguri a tutti, io sono tornato alla base appena a tempo!!
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L’uomo non impara molto dalla storia, fatte rare eccezioni.
Basta vedere il furto dell’insegna del campo di concentramento polacco: tutti piu’ preoccupati del furto in se’ che del perpetrarsi degli abusi, delle nefandezze in giro per il mondo….altro che ipocrisia…
Leggendo questo libro ed altri che raccontano delle tradizioni di un tempo ho appreso il tramandarsi oggigiorno di riti il cui significato era per me sconosciuto…
Buone feste a tutti!
Serpillo
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