Lago di Viana

Il Lago di Viana vestito di bianco (2204 m)

I dati nivologici del bollettino dell’Arpa di venerdì scorso mi raccontano di manto continuo, settore ovest delle Alpi, versanti esposti a sud, dai 2500-2800 metri di altitudine.

Il Lago di Viana galleggia lassù, a 2200 metri. Dovrebbero bastare per dimenticarsi a casa le racchette da neve. Versante sud… quello da Viù… Dall’altra parte si decolla da Ala di Stura, da nord. Troppa neve e poi conosco già quel versante. Ci ho lottato affinché tornasse in vita. Sentieri persi, sentieri ritrovati… Una stupenda escursione nel 2008 in occasione della 11ª Settimana Nazionale dell’Escursionismo nelle Valli di Lanzo… Lottare per non far morire nell’indifferenza un angolo stupendo delle nostre Alpi.

Lago di Viana da Viù vuol dire parcheggiare l’auto all’Alpe Bianca. E poi vuol dire scendere, calzare gli scarponi e mettersi in cammino per inalare un esempio terribile di stupidità umana. Il mostro è lì. Ci impone la sua presenza scheletrica per raccontarci di progetti di insediamenti turistici (così come recita un cartellone ormai sbiadito) e di sogni luccicanti di bianco miseramente falliti.

Per raccontarci di progetti andati alla deriva, spiaggiati su queste montagne, tanto a farne le spese sono coloro che desiderano immergersi nel tempo liberato per uscire dalle logiche cittadine cementificate di cui qui troviamo un perfetto simulacro.

Progetti… Bella parola.

Alpe Bianca, 1420 metri di demenza umana. Mi separano circa 800 metri dal Lago e dai suoi fratelli “minori”, da stelle piccole ma luminose. Un sterrata, qualche cartello indicatore malconcio, una traccia che si perde, bolli ormai sbiaditi, qualche ometto di pietra e poi praterie gialle e secche. E vento che schiaffeggia il mio viso.

Verso nord est Rocca Moross da raggiungere transitando dal Colle Pian Fium, quello dove si possono intravedere i balli delle masche quando la nebbia ammanta il mondo visibile e conosciuto per farci sconfinare in quello sconosciuto della nostra anima, giù, lungo gli abissi delle nostre paure.

Rocca Moross, lo scheletro dell’Alpe Bianca, qualche specchio d’acqua, una debole traccia, il Calcante e laggiù la pianura da dove sgorgano i sogni di business che qui qualcuno ha scaricato lasciandoci in eredità un gesto violento, disumano, sfregiando la natura, ammazzando un luogo.

E sporcando la Montagna da dove nasce l’acqua, dove spunta l’erba, dove prendono vita i fiori e dove le nubi incontrano le rocce per poi innaffiarle con l’oro bianco. Volevano farci nascere i diamanti. Hanno toppato. Qualcosa da queste parti è andato storto. Forse le masche di Pian Fium non ci tenevano proprio ad essere disturbate ed invase nei loro incontri notturni dai cittadini in cerca di danze sulla neve.

Ma i conti qui non mi tornano. E’ un luogo questo, non è una discarica di città, non è quella via che tutte le mattine sputa rifiuti dispersi lungo i marciapiedi di asfalto.

Il mostro, i rifiuti che chiamano altri rifiuti, un sterrata che non so dove porta, qualche freccia di legno… E poi quella traccia dimenticata da Dio, senza tacche. Laggiù, nel fondovalle, un Cai, la sottosezione di Viù. Un po’ più in là la pianura che posso davvero toccare con mano. Talmente tanto che potrei scuoterla. Vorrei poterlo fare finalmente, vorrei scuotere quella maledetta indifferenza verso la nostra terra che ci ha dato la vita. Perché le facciamo la guerra? Perché combattiamo contro noi stessi?

Esiste questo luogo? Faccio ancora un tentativo, qui in città, seduto davanti alla tecnologia. Mi butto sul web gis della Rete Escursionistica e intercetto la mappa della zona che mi restituisce il clic sulla lente di ingrandimento. In pochi attimi raggiungo la Valle di Viù dall’alto, attraverso il monitor del mio portatile. Trovo il Lago di Viana ma è svanito nel nulla quell’incantevole specchio d’acqua che si chiama “Veilet”, il vitellino, a dieci minuti dall’omonimo Passo, mentre il nostro ecomostro dall’alto con Google Maps è inconfondibile. Uno specchio d’acqua inesistente ma non per noi che abbiamo imparato a confinare la tecnologia nei suoi giusti mondi. Manca anche il tracciato per l’uso con il GPS. Ancora nessuno che ha tentato di mandarlo all’Ipla? Qualche anima ricca di spirito volontaristico e generosa verso i nostri sguardi assetati di vie di fuga? Di natura? Verso i nostri sguardi desiderosi di sentieri, di cammini che possano sputarci fuori dalla terribile invadenza delle logiche della nostra società moderna?

Che succede qui? Mi sembra di creare io stesso, con la mia mente, uno scenario di desolazione alimentato dalle visioni onnipotenti della cultura urbanocentrica. L’ho generato io, cittadino di Torino, questo nonluogo? Per la cecità del mio loisir ?

E l’Uomo Selvatico che alla fine ci salverà?  Dove abbiamo sepolto il confine tra Cultura e Natura?

Qui doveva essere sci. Sci e basta. E denaro sonante. Qui si doveva monetizzare la montagna, poche balle. Qui si doveva portare un pezzettino di Pil al totem dell’economia globale. La nostra fede. La nostra verità fasulla. Quel Pil così odioso, quelle maledette statistiche a cui ormai abbiamo consegnato il nostro avvenire credendo illusoriamente di riuscire a misurare tutto, anche il flusso delle emozioni, la gioia, la felicità derivante dall’amare il nostro pianeta.

  Ski e basta? Gli skilift partono praticamente dalla hall di un hotel fantasma per sparare lassù, verso il cielo, sagome di sciatori provenienti dalle stanze di cemento armato delle metropoli opulente. Fantasie carnevalesche alimentate da visioni capitalistiche, da utopie di globalizzazione. Lo si annichilisce così un pezzettino del nostro mondo? Della nostra anima?

Forse dentro questo scheletro di  stanze vuote danzano le masche? Chissà, forse si sono stancate di assorbire l’umidità dei vapori a Pian Fium, risucchiati dalla pianura, e preferiscono trovare riparo in questa architettura  buffona e straniera ai noi semplici escursionisti?

Questo teschio urbano guarda verso le piste fantasma. La forma di questo scempio incompiuto è modellata per rispondere al volto del cittadino alieno. Gli occhi orribilmente vuoti del mostro non puntano verso Rocca Moross o il Ciriunda. Non puntano verso dei luoghi di montagna. Puntano verso visioni urbanocentriche.

Il drago è lì, senza ali. Forse San Bernardo l’ha sconfitto. Di fronte a ciò che non conosciamo, di fronte all’ignoto la nostra mente genera mostri. E’ il buio, è la notte in cui sprofondiamo quando il buon senso viene spento dall’oscurità. Non è cambiato niente da quando i santi sono venuti in soccorso delle anime disperate e turbate da diavoli di ignoranza.

Oggi il nostro Dio è la tecnologia. Ma tecnologia non vuol dire conoscenza.

La notte della mente genera serpi. E’ da sempre così.

Chi violenta un luogo come questo? Come tanti altri luoghi meravigliosi della nostra terra? E la tanto tirata  in ballo responsabilità intergenerazionale? Vale solo per il debito pubblico? O anche per il debito ambientale, quello che noi stiamo generando perché divoratori di risorse?

E’ buio dentro di noi. L’oscurità fa sprofondare l’anima in incubi di ricchezza devastatrice. Genera serpi e draghi alati.

La conoscenza di un luogo come questo, una stanza dell’anima, passa attraverso la sconfitta della nostra indifferenza.

Ma qui ci sono venuto grazie all’idea di un mio collega del Cai. Bravo. Ci sono stelle che brillano luminosissime, altre che luccicano di meno ma solo perché sono più distanti da noi. Non perché non sono stelle. Forse sono anche un po’ più piccole di altre. Ma non per questo non sono astri che splendono e ci attendono per donarci la loro luce.

Qui, in questo consesso di mostri, c’è una stella, forse un po’ più lontana dal nostro sguardo, forse un po’ più piccola di altre, ma non per questo merita di essere consegnata all’indifferenza.

Qui una stella attende di brillare, abbandonata al sonno dell’inverno che l’ha ricoperta di luce bianca. L’Arpa ci ha invitati ad andare fin lassù, per disvelare specchi d’acqua da tempo agognati.

Se manca il denaro per abbatterlo, se mancano le leggi fatte dagli uomini che dovrebbero annientare gli incubi che albergano nei progettisti del nulla, allora facciamo del mostro un monumento dell’idiozia umana.

Qui muoiono i sogni degli uomini che desideravano grandezza.

4 pensieri riguardo “Lago di Viana

  1. Mi viene in mente la leggenda della bell’Alda…..
    La prima volta, gettatasi dalla rupe perche’ inseguita dai soldati, viene salvata dall’arcangelo Michele da lei invocato nelle sue preghiere.
    Riprova, per vanita’, a tuffarsi nel vuoto ma precipita e si sfracella….

    Serpillo1

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  2. Hai fatto bene Beppe a segnalarmi questo tuo bell’articolo. Camminiamo in mezzo a un sacco di spazzatura di cemento e ferro, faranno poca fatica i nostri pronipoti (se ci saranno) a capire a che tipo di civiltà abbiamo dato vita, o con cui abbiamo convissuto per costrizione contemporanea, la civiltà dell’usa e getta.

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