Alla ricerca dell’alpinismo perduto

Messner alla ricerca dell’alpinismo perduto

Oggi si banalizza tutto. E la colpa è anche dei club alpini

Domanda: “Cimeli a parte, che cosa offre di buono l’alpinismo ai nostri giorni?

Risposta: “L’ho più volte detto e scritto: le montagne sono diventate delle piste dove tutto è previsto e organizzato. La colpa è soprattutto dei club alpini, corresponsabili in questa banalizzazione”.

Il resto dell’intervista qui:
www.loscarpone.cai.it/news/items/messner-alla-ricerca-dellalpinismo-perduto-cai.html

5 pensieri riguardo “Alla ricerca dell’alpinismo perduto

  1. I club alpini banalizzano l’alpinismo? Già il fatto di dire i club e non il club, è come sparare nel mucchio, dimenticando che negli ultimi 30 anni l’età media degli amanti della montagna si è alzata.
    Se penso però allo sci e all’ingordigia di piste come luna park della neve, potrebbe anche aver ragione, ma non vedo come il club alpino più rappresentativo ne possa essere coinvolto.

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  2. E’ un problema, quello dell’alpinismo di oggi, che personalmente ritengo sia legato soprattutto alla concezione che oggi, nella nostra epoca, abbiamo della libertà.

    Dove tutto è programmato, organizzato, pianificato, calcolato, soprattutto se tutto questo è fatto per fini commerciali, non può esistere un alpinismo guidato dalla curiosità e dai sogni squisitamente personali, che attengono alla sfera più intima di noi.

    Ho riletto l’articolo di Franco Michieli – Il Tempo in vendita (https://camoscibianchi.wordpress.com/2009/07/02/il-tempo-in-vendita/ ; articolo scritto nel 2001 ma attualissmo) – e credo che Messner volesse intendere esattamente quanto viene espresso da questo straordinario personaggio.

    Per esempio quando sostiene che:

    […] Facciamo una semplice constatazione: gli stambecchi passano la vita sulle crode, ma non spendono una lira; le aquile si librano sopra le cime e non si curano affatto della prossima entrata in vigore dell’Euro. Il Tempo, anche quello destinato al gioco e all’esplorazione, appartiene loro per natura: nessuno si premura di organizzarglielo in cambio di un compenso. Anche l’uomo ha vissuto per decine di migliaia di anni in condizioni simili. La conoscenza dei mille segreti del territorio, del comportamento degli animali e dei possibili utilizzi delle diverse piante doveva bastare alla vita: il tempo libero dalle attività volte alla sopravvivenza permetteva di sviluppare relazioni e pensieri spontanei, che nessuna “agenzia” si occupava di mettere in vendita. Anzi, in epoche arcaiche il Tempo era la divinità stessa: era identificato col moto circolare del cielo, nel quale i vari allineamenti del sole, dei pianeti e delle costellazioni dello zodiaco costituivano gli eventi supremi che influenzavano il corso dell’esistenza sulla terra. Oggi pochi di noi collegano ancora in modo diretto il trascorrere del tempo con i moti silenziosi degli astri, anche quando ci troviamo in montagna o in luoghi selvaggi: il tempo è quello degli orologi, e ci stiamo bene attenti perché il tempo che passa costa. […]

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  3. Interessante.
    A me sembra – felice di sbagliarmi – ci sia nel CAI una dicotomia sempre più contrastante, a tratti furiosa in polemiche che tendono più a distruggere che fare cultura alpinistica. Da una parte si premiano i Grandi alpinisti, l’eccellenza, come riconosce lo stesso Messner. D’altra parte molti alpinisti eccellenti finiscono anzitempo al cimitero… A leggere le relazioni delle nuove vie di Mazzalis sembra che debba andare in montagna solo chi non usa spit e scala via di difficoltà disumane. Alla fine il cerchio si chiude e mi somiglia tanto un retaggio di alpinismo fatto di fatica e sofferenza, dove ancora oggi l’etica dell’UIAA è non lasciare traccia del proprio passaggio in montagna.

    Ma ci sono anche le persone normali, che vanno in montagna per fare un’esperienza più che una prestazione, e non si scandalizzano dalla presenza di uno spit, dove il gioco è minimizzare un rischio comunque imprescindibile. E qui entrano in gioco le scuole. Che all’opposto, per le note noie di “responsabilità” e “sicurezza” dei tempi contemporanei preferiscono fare corsi sulle vie difficili e spittate di Sbarua. E tra gli arrampicatori di falesia e gli alpinisti estremi ne fa le spese quell’alpinismo “gioioso” …alla Rebuffat.

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  4. “Ma ci sono anche le persone normali, che vanno in montagna per fare un’esperienza più che una prestazione”.

    E infatti non hai idea di quante “vie normali” alpinistiche avrei voluto fare se solo avessi avuto più fortuna, soprattutto in ambito CAI. Ma questa è una vecchia e lunga storia che, credo, tra non molto ne parlerò qui collegandomi alla mancanza di futuro (leggasi giovani) nel CAI.

    Avevo dei sogni alpinistici che speravo di poter realizzare proprio grazie al nostro Sodalizio…

    Spiaggiati di fronte ai duri “scogli” della realtà misera della nostra vita…

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