Superpredatori

Crediti: http://pascolovagante.wordpress.com/

“[…] Si narra che nell’anfratto aperto fra le rotondità nella parete nord del monolite, là dove a primavera lo stambecco viene a brucare i teneri germogli dei larici, vive un servadjiou, rimasto, solo, accanto al suo dio di roccia. Egli ogni giorno canta la preghiera fatta di segni e invoca il sole, l’acqua, l’erba e la preda. […]”

Ariela Robetto

Marco Albino Ferrari recentemente ha scritto, durante il racconto a puntate “La via del Lupo” (pubblicato su di un quotidiano) che si “vedono” tanti lupi in giro (soprattutto immaginari) ma pochissimi hanno avuto la fortuna di vederli veramente:  infatti gli esemplari che gironzolano nelle montagne piemontesi sono davvero relativamente pochi (circa una settantina).

Riflettendo su quanto ha fatto parlare la caccia negli ultimi tempi, soprattutto in Piemonte, e leggendo i commenti ai post che ho scritto su questo tema,  mi è proprio tornata in mente quella riflessione di Albino Ferrari perché anche gli esemplari di cacciatori sono relativamente pochi rispetto alla popolazione italiana. Se poi rimaniamo in Piemonte, dove è stato mandato all’aria un Referendum sulla caccia che si attendeva da ben 25 anni, i cacciatori sono solo 34 mila circa su di una popolazione residente di quasi 4 milioni e mezzo di persone. Quindi rappresentano meno dell’1% dei piemontesi eppure si parla tanto di loro.

Tra quei 4 milioni e mezzo di residenti, quanti hanno avuto l’occasione di vedere dal vivo un cacciatore intento nella sua attività predatoria?

In estrema sintesi, stiamo parlando di (super)predatori, che sono relativamente pochi e agiscono in un ambiente che per la maggioranza della popolazione è sconosciuto.

A questo punto immagino che avrete capito il perché di tale parallelismo. Una domanda dovrebbe sorgere davvero spontanea, visto i punti in comune tra questi due attori di scene selvatiche che aleggiano nella nostra mente quando ne percepiamo la “vicinanza”.

Prima una breve e curiosa premessa.

E’ stato fatto un esperimento, con la macchina tomografica, dove è stato fatto vedere un oggetto qualsiasi – come un bicchiere – ad un volontario e così si è osservato che si “illumina” una parte del cervello. Poi è stato tolto l’oggetto in questione ed è stato chiesto al volontario di chiudere gli occhi e di immaginare tale oggetto. Anche in questo caso, semplicemente ricordando l’oggetto, si è accesa la stessa parte del cervello.

Camoscio abbattuto. Crediti: http://www.tutelafauna.it

Domanda: “Chi vede?”. “Gli occhi oppure la mente?”. Per quanto ne so io non si hanno risposte attualmente.

La maggioranza delle persone (tra quei 4 milioni e mezzo di residenti piemontesi) non vede con gli occhi alcun lupo o cacciatore (a parte forse le immagini che vengono proiettate dai mass-media). Quindi ci sono molti cittadini che non vedono con le “lenti” – gli occhi – bensì con la mente, con tutte le suggestioni e le emozioni (anche ancestrali?) che essa genera.

Infatti coloro che vivono costantemente negli ambienti naturali, come ad esempio i guardaparco, sanno parlarti degli animali selvatici con altri “occhi”.

Parlando di superpredatori, ecco cosa racconta proprio un guardaparco in merito (tratto dal post “Qualche giorno con il guardaparco“):

[…] Il bello di questo posto è lassù, su quel ramo spezzato, abitualmente si posa l’aquila. Se ti nascondi in questa pietraia la vedi arrivare, posarsi, a volte osservare per qualche tempo le marmotte, poi si lancia. Passa un istante, senti un fischio, la vedi rialzarsi poco dopo con una marmotta tra gli artigli… Bisogna vederlo molte volte per riuscire a non farsi coinvolgere. Non parlo di ottenere una specie di indifferenza, come quella di un macellaio avvezzo a spettacoli peggiori. Parlo di quella neutralità che fa parte del sapere che le cose stanno così, senza bellezza né orrore, ma solo così. La marmotta fa tenerezza, è bellissima a vedersi: gioca, corre, oserei dire che scherza, a volte. L’aquila è… qualcosa di forte, ha l’espressione implacabile per noi che la vediamo così; poi, quando le scene delle necessità della vita si presentano così spietatamente, il nostro mondo di sicure definizioni va a farsi benedire e qualcosa che ci sfugge bussa ai sensi. Qualcosa che forse abbiamo chiuso fuori quando siamo scesi dagli alberi per costruirci le nostre civiltà, le nostre città che però, adesso, ci stanno fagocitando…[…] “.

Senza bellezza né orrore perché quei comportamenti sono insiti negli istinti di sopravvivenza degli animali. Ben diverso è immaginare – al peggio vedere – un essere umano che caccia per divertimento: questo sì che è orrore.

Perché non proviamo a scambiare i ruoli facendo uno sforzo di immaginazione? Proviamo ad immaginare, mentre siamo alle prese con la quotidianità, di sentire degli spari provenire da un branco di camosci che penetra nella nostra città perché, annoiati dalla loro vita e con la pancia piena, non sanno come trascorre il tempo in altro modo se non impallinando, appunto, noi esseri umani impossibilitati a difenderci con le stesse armi.

Bello vero? Soprattutto molto comprensibile. E’ follia, e un mondo animale siffatto sarebbe davvero allucinante.

Sapete qual è uno dei termini di ricerca più intercettati da questo blog? Bosco. L’ambiente che meglio rappresenta il luogo selvatico nei suoi aspetti simbolici.

Forse per il cittadino, abituato ad una vita artificiale, quei due attori selvatici sono quasi necessari per mantenere viva nella nostra civiltà, che “prospera” in un centro sintetico (le nostre città), un’idea di periferia lontana, misteriosa e molto evocativa?

Un mondo altro? Una via di fuga?

Massimo Centini in L’Uomo Selvaggio, antropologia di un mito della montagna afferma che:

La vita sintetica, spesso programmata, sembra non offrire vie di fuga, e anche i probabili itinerari più spontanei e umani, pare siano lontani, ricchi d’avversità, difficili da trovare. Ma è in quel «trovare» la chiave del nostro vivere: è necessario ritornare sui nostri passi e cercare il selvaggio che, alla fine, ci salverà la vita”.

Se estinguiamo il lupo e il cacciatore – due potenti simboli della selvatichezza –  per chi vive  prevalentemente in città, e non ha quindi l’occasione di prendere contatto autonomamente, e senza intermediari, con la natura selvaggia, cosa rimane di quel mondo, assolutamente “interiore”, così necessario alla nostra esistenza? Chi o che cosa potrà “attivare” ogni tanto quel mondo per risvegliare un nostro lato profondo e di cui non possiamo fare a meno?

Cosa bolle in pentola?

Ma allora è giusto che in Piemonte ci sia quell’1% di cacciatori che ammazzano animali per passare il tempo e vincere la noia? E che hanno anche indirettamente la funzione di “comunicare”, come sta facendo il lupo, l’universo della selvatichezza?

…senza bellezza né orrore… l’istinto di sopravvivenza è difficile da accettare ma fa parte della natura. Il divertimento dei cacciatori invece non appartiene all’ambiente naturale.

No, non è giusto perché, come succede a tante altre persone, che non vanno a caccia, come il sottoscritto, basta attivare le nostre gambe affinché accompagnino il nostro cervello alla scoperta degli ambienti selvatici, senza dover fare i superpredatori per gioco. Senza portarsi dietro fucili per ammazzare animali indifesi.

Personalmente credo che in questo senso l’uomo può seguire un sentiero di progresso, di civiltà, mettendo da parte i simboli evocati dagli intermediari selvatici con istinto predatorio – lupi, cacciatori, ecc. – per andare lui stesso alla ricerca nell’ambiente reale, vero, come lo è un bosco alpino, un parco (che per qualcuno dovrebbe diventare una sorta di luna park !!!), una valle, una vetta, ovvero in quelle “regioni” estreme e selvatiche che appartengono da tempo immemore alla natura umana.

Gli antropologi direbbero che è fondamentale recuperare una dimensione selvatica nella vita affinché si eviti lo scontro tra la Cultura e la Natura. Soprattutto – vorrei dire io – evitando di sparare per divertimento a degli esseri senzienti.

Per concludere vorrei fare un invito a coloro che desiderano farsi stuzzicare da quei simboli, ovvero di  mettere da parte lupi ed affini (tentando invece di vederli semplicemente per quel che sono: predatori in conflitto con l’uomo che vive e lavora negli stessi ambienti selvatici) e di mandare in pensione i cacciatori (nel XXI secolo è tempo di fare un salto di civiltà, no?) provando a fidarvi di chi vi invita ad esplorare veramente dimensioni ricche di selvatichezza innescando le vostre gambe e senza intermediari violenti.

Così facendo potrete percepire un tale “odore” di selvatico che, quando rientrerete nel sintetico mondo di tutti i giorni, godrete in pieno di una profonda sensazione di benessere e di equlibrio con voi stessi.

La Cultura avrà così incontrato la Natura, anziché sterminarla per motivi ludici.

27 pensieri riguardo “Superpredatori

  1. Il bosco e la natura permettono di entrare in contatto con una parte intima di te, di seguire un antico richiamo e forse di trovare anche la pace.

    Il lupo è un animale inquietante che rappresenta la crudeltà e la forza; è anche il lato animalesco che è dentro di noi.

    Nella tattica della caccia e’ l’uomo che ha imitato il lupo o viceversa? 😉

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    1. … certo è che il lupo oggi va davvero molto di moda… dai titoli di libri a quelli delle canzoni…

      Come una recente che si intitola “She wolf”…

      Ma chi l’ha visto?

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  2. Ho qualche amico cacciatore, detesto la sua passione, ma per il resto il loro comportamento è normale. Mi chiedo, cos’è che fa scegliere a un primate come l’uomo di esercitare la caccia? Non trovo una ragione plausibile. però ripensando a dei passaggi di questa vita, ricordo quando riuscii a far accettare la fatica della montagna a mio figlio, allora bambino. Gli proposi di andare a raccogliere castagne e funghi. Tornammo a casa con delle castagne, da quella volta in poi fu lui che mi propose di andare in montagna a raccogliere legna (per modo di dire) o altro. Ogni volta era importante portare a casa qualcosa, per lui forse quello era un modo di dare un contributo attivo alla vita familiare. Un comportamento nutritivo.
    In età adulta il comportamento nutritivo appartiene alle mamme.
    Il comportamento del cacciatore alla fin fine è un comportamento, esasperatamente, nutritivo.
    Non far leggere questo commento a un cacciatore 🙂

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  3. Chapeau per questo post, Beppe!
    La frase “è necessario ritornare sui nostri passi e cercare il selvaggio che, alla fine, ci salverà la vita” è un concetto che avevo dentro ma non riuscivo ad esprimere, grazie!
    Premetto che, come avevo già scritto, sono contrario alla caccia. Posso solo dire che spesso mi è capitato di incappare durante le mie escursione nei boschi in alcuni ruderi di case abitate molti decenni fa e la curiosità è sempre stata tanta di entrarci e non mi sono mai fatto scappare l’occasione di dare un’occhiata all’interno giusto per immergermi con la fantasia nella vita montanara di persone che vivevano molto isolate dal resto delle altre. Mi sono imbattuto spesso in cartucce e polveri da sparo datate più di 50 anni fa, segno che quelle persone dovevano cacciare per poter mangiare. Ecco, solo in quel caso posso dire “senza bellezza nè orrore” guardo quello “che fa parte del sapere che le cose stanno così”, citando le parole del guardiaparco da te menzionato.

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      1. In futuro spero di sì, per ora non ho lo stimolo creativo e, cosa che non mi piace mai dire, non ho molto tempo se non per controllare le email, le notifiche su Facebook e i miei feed. Grazie dell’invito Beppe.

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  4. ciao. non sono un cacciatore, però ho auto modo in passato di frequentarli per qualche “stagione”. secondo me, per l’esperienza che ho fatto io, è una categoria che non va demonizzata. non lo vedo come uno sport, un passatempo. le persone che ho conosciuto io lo fanno quasi per far sopravvivere una certa “cultura”. Parlo di quella alpina, in cui la caccia è sempre stata parte importante, soprattutto negli anni passati. secondo me, la caccia, se ben regolamentata dopo aver fatto i vari censimenti, non va condannata. discorso diverso, ovviamente, per tutte le attività di bracconaggio. che, queste si, condanno fermamente. ed ora, se mi passate la battuta, sparatemi pure addosso…,-)

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  5. Da ragazzino sparavo anche io, col flobert di papà, a piccoli uccelli. Era per me una dimostrazione di abilità, per impressionare “i grandi”. Una volta ho ferito un corvo. Ho corso là per finirlo, e l’ho trovato a terra che ansimava, mi fissava con l’occhio sbarrato: sembrava mi chiedesse “perché?”. Ho sparato ancora per far terminare in fretta quella tristissima agonia. Da allora non ho più sparato un colpo. Oggi la caccia mi fa un orrore assoluto. E pur tuttavia riconosco che ci sono persone che hanno conservato questa insana “passione” (come la chiamano loro), e mi chiedo come sia possibile. Spesso sono anche bravissime persone, intendo non esaltati, eppure hanno conservato questo orrendo istinto di dare la morte a creature indifese. Come è possibile che un adulto, si suppone raziocinante, possa “divertirsi” a uccidere gli animali? Per me resta un sinistro mistero.

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  6. Grazie Jean Paul Galibert per il tuo “like”.

    Ho letto nella tua bibliografia che nel 2009 hai pubblicato un libro che si intitola:

    “L’idée de la ludique”

    che tradotto in italiano dovrebbe essere: “L’idea del divertimento”…

    Forse possiamo trovare qualche risposta al divertimento dei cacciatori…

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  7. Francamente sulla caccia non sono così tranchant nell’essere a favore o contro. Dove sono adesso ci ritroviamo spesso e volentieri le aree messe a prato con fatica rivoltate dai cinghiali, così come le piante che dovrebbero consolidare i pendii brucate fino alla corteccia dai cervi e dai caprioli. D’accordo che queste “invasioni” sono dovute in tutto o in parte a reintroduzioni a scopo venatorio, ma dire basta alla caccia ora significherebbe tenersi il problema facendo finta che poi si risolva da solo. All’apertura al cinghiale in molti qui attorno hanno tirato un sospiro di sollievo… Al di là di queste note locali, conosco ed ho conosciuto diversi cacciatori. Di alcuni mi faceva inorridire l’atteggiamento da macho, di molti invidiavo la capacità di “leggere” il territorio e la natura. Una camminata in loro compagnia (camminate? sfacchinate allucinanti diritto per diritto su per rive da bosco impraticabili…) era una miniera di informazioni e sensazioni. C’era poi l’incontro con il “selvatico”… A tale proposito chiudo la risposta lunghissima citando Barry Lopez, lo studioso che meglio di tanti ha saputo “leggere” un territorio aspro come l’Artico. (e non era un cacciatore)
    “…la caccia (e per caccia intendo semplicemente trovarsi sul territorio) è uno stato d’animo. Tutte le facoltà dell’individuo sono orientate verso lo sforzo d’incorporarsi pienamente nel paesaggio. E’ qualcosa di più che rimanere in ascolto per sentire il rumore degli animali… Cacciare significa portarsi addosso come un indumento il territorio circostante, intrattenere con esso un dialogo senza parole… Queste relazioni sono degli schemi.. All’improvviso lo schema comprende un caribù…C’è un caribù davanti a voi. La freccia o la pallottola sono come una parola pronunciata a voce alta. E’ qualcosa che avviene alla periferia della vostra concentrazione. Barry Lopez, Artico”
    Allo stesso modo dell’accademico americano parla il mio collega A., quinta elementare o poco più, quando mi racconta delle battute al camoscio su per l’Ovarda. Gli attimi felici della sua vita.

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    1. Tutto quello che vuoi, GP… la fame giustifica certamente la caccia… la farei anche io se non avessi la moneta nel portafoglio e il supermercato sotto casa…

      Ma oggi, non ha più senso. E se abbiamo raggiunto una condizione da “pancia piena”, allora odio il fatto che dal cervello umano scatti un’idea di morte… soprattutto quando a morire sono esseri senzienti che non hanno una mente tanto “raffinata” da potersi costruire armi tanto raffinate con cui difendersi…

      Se nelle nostre menti una scarica neuronale mortale – il clic sul grilletto – scaturisce dalla ricerca di un passatempo, di un divertimento, a me sinceramente tutto cià fa semplicemente schifo.

      Siamo peggio degli animali. Molto peggio.

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  8. Ciao Beppe, cosa dire? Io rispetto tutte le idee, ma credo in buona parte di aver scritto a vanvera su questo blog: ho passato ore a litigare con mia figlia che mi voleva con lei sul divano e l’accento del discorso “caccia” continua a rimanere sul mero “divertimento”. Boh, non pretendevo di convincere nessuno ma speravo di aver lasciato qualche piccolo segno.
    Alla fine però il discorso non è stato senza risultato: grazie a queste discussioni ho avuto modo di riflettere molto (e di ciò ringrazio tutti coloro che mi hanno stimolato partecipando), e ho lavorato molto su me stesso.
    Ho deciso innanzitutto cosa mi diverte fare e cosa no. Ho deciso che mi diverto molto a vedere il mio cane che corre per la montagna (è un cane bravo, intelligente e anche molto ma molto bello). E mi diverto a fare foto. Davvero molto.
    Per il resto il divertimento vero e proprio finisce lì. Non mi diverte per niente sparare e non mi diverte passare tutto il giorno a cercare di avvicinare il camoscio giusto su per i pendii. Non mi diverto a svegliarmi alle tre e mezza quando ho lavorato tutta la settimana e non mi diverto a bagnarmi e prendere freddo, magari passando tutto il giorno nella nebbia. Non mi diverto poi neppure a lavorare la carne e a metterla in congelatore. Non è poi tutto questo spasso.
    Se allora uno mi chiede: perché continui ad andare a caccia? rispondo che non trovo giustificazioni prive di controindicazioni tali da convincermi a smettere.
    Una conversione sarebbe segno di idee confuse. Diciamo che caccio per un motivo diverso dal divertimento, e cioè per consapevolezza. In un mondo in cui si può scegliere di essere solo assassini feroci o romantici mandanti di omicidio, nella minima misura preferisco far parte della prima categoria! Gli altri non sono meglio di me.
    Perciò per ora non smetto, se poi la aboliscono, pazienza. Venga avanti ‘sto referendum. Venderò i fucili e comprerò più cani e più macchine fotografiche. Pagherò meno tasse, porterò fuori il cane tutti i giorni e scatterò montagne di fotografie!!!

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  9. Ciao Marco, a leggerti mi sembra di sentire i discorsi del mio collega. Neppure lui si diverte a svegliarsi nel cuore della notte, a massacrarsi di fatica e a bagnarsi come un pulcino (ma neppure io mi diverto d’inverno a tirarmi giù dal letto alle quattro, pigliare strade gelate e deserte per ravanare in salita con gli sci nel gelo…). Eppure… lo fa-lo facciamo, e se non lo fa gli manca qualcosa. Non è istinto sanguinario. Semplicemente, come dici tu e capisco io, è un diverso livello di consapevolezza. Se poi vogliamo metterla sul piano completamento razionale, allora – come dici tu – noi non cacciatori carnivori siamo dei meschini mandanti di omicidi e torture efferate ogni volta che addentiamo un panino al salame. Allora – ad essere razionali fino in fondo – evviva la caccia al selvatico e basta all’allevamento. Meglio ammazzare animali che vivono la loro vita da liberi, invece di massacrare macchine da ingrasso costruite in laboratorio per essere smontate e metabolizzate. Ho spinto al massimo il ragionamento, il discorso si fa troppo complicato e qui mi fermo. Volevo solo sottolineare due o tre aspetti che “imballano” il mio ragionare e mi fanno desistere da un “No” netto alla caccia. Poi, ripeto, rispetto le opinioni di tanti (stavo per scrivere tutti, ma non mi sento così ecumenico…)

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  10. mi pare che ci sia una certa differenza tra chi consuma carne comprandola al supermercato, e chi va a caccia per uccidere. Certo, avendo spersonalizzato l’assassinio, chi compra la fettina si sente forse meno in colpa (io comunque cerco di mangiare sempre meno carne e prima o poi diventerò vegetariano). Ciò non toglie che è l’istinto omicida dell’uccidere che fa orrore. Dico al cacciatore che esce la mattina, sapendo di essere un portatore di morte, e che andrà ad uccidere un’animale che ha la fortuna di vivere libero nella natura: come si sente dopo averlo ammazzato? Soddisfatto? Orgoglioso di aver stroncato senza motivo un essere vivente? Io mi sentirei uno schifo. Poi dire “io uccido un selvatico invece che un animale allevato all’ingrasso” non è una scusante ma un’aggravante!

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      1. Mah, Beppe… io in tutta sincerità capisco i lpunto di vista di moltissimi, ma non capisco dove vuoi andare a parare.
        Se il discorso è: “Aboliamo la caccia perché è un’attività dannosa, pericolosa, impattante sull’ambiente, che porta all’estinzione degli animali, che produce sofferenze inutili e crudeli, che diseduca al contatto con la natura, ecc” il discorso ha un senso e la discussione non può che essere costruttiva. Si può sviluppare su molti livelli: tecnico, naturalistico, normativo, filosofico, storico, economico, nutrizionale, ecc.

        Se il discorso è: “Aboliamo la caccia perchè i cacciatori sono persone che non amano la natura, perché sono crudeli, perché sono prepotenti, perché sono una minoranza incomprensibile, perchè sono squilibrati, perché provano divertimento ad uccidere o, come dice l’amico Anonimo del Colli Euganei, perché sono antipatici a molti.” Allora ribadisco che c’è poco da aggiungere perché è una materia che viene tratta solo sul piano emozionale e personale. Che venga abolita e facciamola finita così….

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        1. Ho notato che ogni volta che si parla di caccia, come del resto anche in quest’occasione, si creano delle dicotomie. Da una parte c’è in effetti un discorso affrontato sul piano puramente tecnico (naturalistico, di prelievo, ecc.) che, se vogliamo, è forse più facile da valutare perchè si parla di numero di capi da prelevare e di altre questioni quantificabili in termini numerici e pertanto oggettive. Ben diverso è l’altro “filone” del discorso che ci spinge a valutare le cose in maniera emozionale, un aspetto molto più profondo e nobile ma ahimè (o per fortuna!) difficilmente incasellabile in un qualunque schema proprio perchè parte dalle menti di ciascuno di noi.
          Fermo restando che, come ho indicato in un post precedente, la caccia non mi piace per diversi motivi (un’attività che magari reputo violenta, che non mi sento sicuro a passeggiare nei luoghi con battute di caccia in corso, ecc.) tuttavia mi sento piuttosto vicino ad alcune considerazioni di Marco dal momento che spesso mi chiedo: “Ma perchè va bene ammazzare una vacca o un maiale e non va bene ammazzare un camoscio? C’è una reale differenza? Ok, uno è domestico e l’altro no. Ma, ai fini dell’esistenza dell’animale, la morte per mano nostra è presente per entrambi”. Da notare che, comunque, la morte di questi due animali, hanno lo stesso obiettivo per noi ovvero finire nei nostri piatti. Per necessità o per gola. Se guardiamo nuovamente gli aspetti ambientali, più oggettivi, l’allevamento di un maiale per fini alimentari implica che per ottenere un chilo della sua carne, devo nutrirlo con una quindicina di chili di vegetali. E quindici chili sono tanti. Con conseguenti impatti sull’ambiente tanto che mi sono sempre questo cosa ci facessero tutte le distese di mais nella nostra pianura poi ho capito che servono quasi esclusivamente per realizzare mangime per gli animali domestici. E la cosa non è che mi faccia impazzire dal momento che il campo di mais è una sorta di deserto biologico…. Oggettivamente l’abbattimento di un camoscio è infinitamente meno impattante di molti allevamenti.
          Tornando però a questioni “di pancia” mi chiedo allora quale sia dunque la differenza nell’ammazzare uno o l’altro. Mi rendo conto che da questo è difficile uscirne, almeno per me, dal momento che non sono ancora riuscito a schierarmi con fermezza da una parte o dall’altra, dalla parte dei cacciatori e dai detrattori della caccia. E personalmente credo che non ci riuscirò neanche in futuro.
          Per ciò che concerne l’amore per gli animali, sinceramente ho difficoltà anche io a ritenere che un cacciatore ami gli animali se li uccide ma, per le visioni che ho io, allo stesso modo non riesco a considerare un amante degli animali una persona che abitualmente dà da mangiare ai piccioni perchè comunque non rispetta le dinamiche naturali che vorrebbero magari un uccello debole morto di inedia. È brutto da dire ma è così, non è crudeltà ma è voler rispettare appunto le dinamiche naturali. Inoltre, come ho scritto in risposta ad un post precedente, non so chi sia meglio tra un cacciatore e gli attivisti animalisti che si battono con forza per evitare l’eradicazione dello scoiattolo grigio. È un esempio stupido, lo so, però quello che voglio dire è che anche l’espressione “amore per gli animali” si può prestare a mio parere a diverse interpretazioni.

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