Stimolato dalla lettura del post “La notte di Samain all’Alpe Grosso”, mi vengono in mente alcune considerazioni sulle leggende alpine. In particolare mi tornano alla mente le famose masche ovvero le streghe già evocate da Beppeley nel post citato e che tanta parte hanno avuto nella popolarità piemontese. Innanzitutto ritengo che l’asprezza e la natura selvaggia di determinati luoghi abbiano forse contribuito quanto meno ad aumentare nell’uomo del passato un profondo senso di rispetto e di paura.
Basti pensare ad un bosco montano, di notte (che già è ombroso e misterioso per conto suo), situato magari sotto alte pareti rocciose incombenti ed ecco che ci sono tutti gli ingredienti scenografici per far sì che la fantasia viaggi.
L’ascoltare quindi un allocco che canta in un bosco assumeva nel passato un significato ben lontano dalle nostre esperienze; se infatti oggi sappiamo che un allocco canta per delimitare il suo territorio prima e durante la stagione riproduttiva, nel passato il suo canto che assomiglia vagamente ad una voce umana lamentosa, doveva aver fatto credere agli abitanti della montagna di un tempo che il bosco fosse stregato e che ospitasse streghe, o al limite, spiriti in pena. Non dimentichiamo infatti che il suo nome scientifico è Strix aluco e dal nome Strix deriva proprio il termine stria, strega. Ecco che allora alcuni animali, alcuni boschi, alcune montagne, per un motivo o per un altro, hanno assunto una nomea negativa.
Maria Savi-Lopez nel suo libro “Leggende delle Alpi” scrisse che, in merito ad una leggenda diffusa lungo le pendici del Civrari, si poteva comprendere come un posto arcigno come quello avrebbe comprensibilmente stimolato la mente dei pastori delle zone a far nascere delle credenze e delle leggende fantastiche. Sono quindi dell’idea che l’ambiente abbia avuto un ruolo nella nascita di leggende legate al mistero.
Penso però che quando di parla di masche si debba fare un discorso più articolato… Da questo punto di vista non si può non parlare dell’avvento della religione cattolica che imponendosi sul paganesimo, una forma di credenza presente nelle nostre valli ben prima del cattolicesimo, ha eliminato le vecchie usanze appunto pagane. Delfina Sissoldo Fiorini nel suo libro “Quando il Piemonte bruciava le streghe” edito da Daniela Piazza Editore, indica che proprio il sopraggiungere della religione cattolica ha instaurato lo scontro tra diverse religioni dove la più forte ha schiacciato la più debole. Ecco allora che le donne che praticavano ancora vecchi rituali pagani venivano catalogate come praticanti la stregoneria mentre magari utilizzavano solo materiale naturale per creare “medicine”, alimenti, ecc. Sono dell’idea che questo abbia rappresentato un forte cambiamento nella cultura locale, evidente soprattutto nelle montagne. In pianura e, soprattutto, nelle città forse l’avvento della tecnologia e di un sapere maggiormente “globalizzato” e decisamente lontano dalla realtà contadina di sussistenza montana ha cancellato in modo molto rapido le credenze locali.

L’autrice del libro scrive pertanto:
“Nell’area piemontese molte leggende si sono formate con la vittoria del cristianesimo sul paganesimo. Il trionfo della nuova fede infatti, se da una parte porta ad un rinnovato concetto di vita, trasforma anche la vecchia religione, la degrada e l’abbassa fino a farne una superstizione… La credenza nelle streghe, già presente negli antichi, si instaura in questo periodo soprattutto tra le popolazioni maggiormente isolate, presso cui sopravvivono alcuni culti propri del mondo pagano”.
Relativamente alle “nostre” valli penso allora alle streghe che rapiscono i bambini, come in Val Grande o che si radunano presso la Cappella degli Olmetti in Valle di Viù o, peggio ancora, succhiano il sangue dei bambini a Mezzenile (!). Penso anche alle numerose streghe del Canavese che sono forse ben più diffuse di quelle delle vicine Valli di Lanzo, tutte leggende davvero curiose e interessanti. Su tutto però penso anche come di fatto l’ambiente montano di un tempo, isolato geograficamente e culturalmente, abbia forse contribuito alla nascita e alla conservazione di determinate leggende che qui più che altrove hanno potuto arrivare sino a noi.
Parlando di queste storie di streghe penso allora che un qualcosa di magico lo racchiudano davvero ma penso che la magia consista forse nel fatto che tali leggende sopravvivano ancora!
Però una passeggiata, di venerdì tardissima sera, col plenilunio, fino ai “Castei dle Rive” a Vonzo, è tutt’alto che romantico, anche se oggi le Masche non ci sono più…… (forse)
ps. prima di incamminarsi, leggere sul cartello CAI in piazzale di Vonzo, la storia del Roc dle Masche.
Buona passeggiata!
Rok 64
"Mi piace""Mi piace"
Rok, gli studiosi quella balma la chiamano “Balma delle fate di Vonzo” oppure “Balma d’Vuns” evitando il termine “masca” perché la leggenda parla di fate e non di masche. Masca è sicuramente pittoresco ma risulta un po’ improprio. Infatti l’antropologo Massimo Centini (Creature Fantastiche, pag. 66) ci dice:
” […] Intanto una differenza: vi sono masche cattive e masche buone. Le prime corrispondenti al modello fin qui indicato, le seconde presentano peculiarità riconducibili alla faja, cioè alla fata. Ma come per la strega, anche in questo caso il modello della fata, ben assestato nella tradizione orale e nelle fiabe, viene risemantizzato dalla mitologia popolare.
Se ci affidiamo alla tradizione orale, constatiamo che il termine faja, nella cultura popolare nostrana, di fatto corrisponde alla “masca buona”, anche se questa è comunque una definizione insufficiente per esprimere la complessità semantica della parola. Ricordiamo che non sempre gli informatori offono dati oggettivi per comprendere caratteristiche e ruoli della faja; spesso risentono di modelli narrativi tipici della fiaba colta di cui hanno vaghi ricordi riferibili agli anni della scuola. Tendenzialmente, nei racconti orali la “masca buona” è quella che effettua pratiche di medicina popolare.[…]”
"Mi piace""Mi piace"
Sempre Massimo Centini (Creature fantastiche, pag. 192) proprio sulla “balma di Vonzo”:
” […] Le fate nella tradizione popolare, che molto devono al modello lettarario della fiaba colta, sono spesso collocate in luoghi caratterizzati da prerogative geomorfologiche che sono territorio fertile per il mito: grotte, ripari sotto roccia e fonti d’acqua sono infatti dimore tipiche di queste creature dell’immaginario. Queste piccole e affascinanti creature hanno la prerogativa di essere avvolte da un’aura che le pone in diretta relazione con la bellezza del corpo e dell’anima. E’ il caso della fata che si dice albergasse nella scogliera di Deiva (La Spezia): una piccola creatura che, all’occorenza, assumeva la forma di anemone di mare e aveva il dono di farsi carico dei dolori di quanti transitavano vicino al suo rifugio. […]
[…] Altre tracce sono reperibili sulla balma di Vonzo, nella Val Grande di Lanzo, che fu rimossa dalle fate in volo, ma il diavolo si oppose e alla fine la balma precipitò dove ancora si trova, con tanto di segni lasciate dalle mitiche creature sulla superficie litica. Qualcosa di simile si racconta ad Aquila di Arroscia (Imperia): qui si trova un grosso masso che tradizionalmente è chiamato “palla di Rolando” che le fate utilizzerebbero per giocare tra di loro passandoselo come se fosse leggerissimo… […]”
Non vorrei dire una cretinata… ma ho la sensazione che il termine “masca”, nel caso della balma delle fate di Vonzo, fosse “funzionale” proprio al cristianesimo.
E infatti, guarda caso, a Vonzo la Cappella è dedicata proprio a San Bernardo da Mentone…
Piercarlo Jorio (che ho citato qui https://camoscibianchi.wordpress.com/2012/04/06/alpis-graia/):
“[…] nell’alone di una palpabile presenza panica che, né san Bernardo «cacciadiavoli» (il policromo simulacro ligneo rubato alcuni anni fa dalla cappella omonima in Vonzo) né la Madonna del Carmine o del Carmelo sono riusciti a esorcizzare in modo completo”.
“Come sempre, nell’immaginario popolare, le immagini fantastiche si mescolano, sovente fino confondersi. Una tale commistione si spiega riconoscendo in qual modo certi temi siano arrivati dalla preistoria, da altre epoche lontane, dai primi secoli cristiani: si tratta di una stratificazione millenaria”.
"Mi piace""Mi piace"
Sì, immagino che le credenze attuali siano il frutto di una stratificazione millenaria di diverse credenze che, forse, sono state particolarmente enfatizzate negli ultimi secoli con cambiamenti in ambito religioso/culturale.
"Mi piace""Mi piace"
Articolo molto ben scritto, tanto da farmi scendere più di un brivido lungo la schiena.
E argomento molto interessante.
"Mi piace""Mi piace"
Bellissimo post.
Per chi fosse interessato ad inoltrarsi in questi aspetti legati alla mitologia popolare, suggerisco l’interessantissimo libro “Creature fantastiche” di Massimo Centini (Priuli e Verrucca).
[…] “Fucina per i racconti su questi esseri, le veglie nelle stalle: importanti occasioni per socializzare in cui il racconto era uno strumento di conoscenza, ma anche evento creativo, che stimolava la fantasia e produceva una stretta relazione tra vissuto e immaginato, tra naturale e soprannaturale, dando un senso mitico all’esperienza esistenziale che non trovava risposte solo nella ragione. […] ”
[…] “Definire queste creature non è facile. In esse si uniscono le caratteristiche delle streghe (esistono anche masche uomini, cioè i mascon) e dei fantasmi. (…) Essendo le masche creature di potere sarebbe interessante approfondire i rapporti che la tradizione tende a stabilire tra loro e i rappresentanti del potere sociale (…) Le masche non sono spiriti, forze paniche immesse nella natura, entità potenti quanto inafferrabili” (G.R. Morteo, 1981, pag. 22). […]
"Mi piace""Mi piace"
Interessante questo libro, mi sa che sarà uno dei miei prossimi acquisti! Sicuramente anche la comunicazione orale, della stalla come ha scritto Centini, ha contribuito a favorire il fiorire di tali storie. E’ interessante anche notare come tante leggende ripetano determinati argomenti in maniera “spontanea” nelle diverse valli e, addirittura, in diverse catene montuose. Ad esempio, il ghiacciaio ha da sempre suscitato paura e timore ed ha sempre terrorizzato i montanari con la loro aura di mistero. Non è un caso che tali ambienti siano sempre stati considerati luoghi malvagi e, credo che questo sia avvenuto in tutte le catene montuose con ghiacciai del mondo.
"Mi piace""Mi piace"
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
"Mi piace""Mi piace"
Parlando di uccelli “misteriosi” mi viene in mente la civetta ed in questo caso la civetta intesa come portatrice di disgrazie, di morte e compagna di stregoni, di streghe ed indovini.
Se il suo sguardo, mentre lugubramente canta su un ramo, è rivolto ad una casa in particolare, lì in quella casa la morte o la sfortuna è vicina.
La nostra acuta amica Lia mi ha fatto osservare che un tempo l’illuminazione non era come ora. Il bagliore dei lumi arrivava dalle finestre dove c’era una veglia o un un malato e la civetta era lì perchè attirata dagli insetti di cui si nutriva che svolazzavano intorno alla luce…
"Mi piace""Mi piace"
Bello!
"Mi piace""Mi piace"
Esatto! Tra l’altro tutti gli uccelli notturni sono sempre stati considerati come animali demoniaci. In alcune località piemontesi, il gufo reale viene ancora chiamato diau ‘d muntagna a causa delle sue dimensioni, del suo sguardo penetrante, dei versi oggettivamente lugubri e anche a causa degli ambienti desolati e misteriosi che frequenta. Sicuramente queste sue caratteristiche hanno contribuito ad accrescere la sua fama di animale legato al mondo della stregoneria. La stessa cosa è valida per altre specie
"Mi piace""Mi piace"
…provare poi a camminare in un bosco di notte…con occhietti accesi in mezzo all’oscurità…
"Mi piace""Mi piace"
Poveri animali…
"Mi piace""Mi piace"
Sì, sia i selvatici che i domestici, nel bene e nel male sono da sempre all’interno delle culture dei villaggi delle nostre montagne. Sono davvero tante le leggende che hanno gli animali come “sfondo” o come personaggi.
"Mi piace""Mi piace"
Sono d’accordo con questa tua osservazione
"Mi piace""Mi piace"
Seconda volta che scrivo questo commento…
La caccia alle streghe è l’ultimo (ultimo? leggendo la cronaca direi di no) atto dell’avvicendamento culturale dall’universo matriarcale delle Madri Nere al mondo patriarcale delle grandi religioni monoteiste.
Ritornando alle esperienze perosanli, ricordo una notte in cui con mio fratello roberto decidemmo di dormire alla bella stella nella travà di una baita in valchiusella. Al terzo passaggio di civette/gufi/allocchi senza una parola ci catapultammo dentro al baita, chiudemmo porte e finestre e fino a giorno fatto non uscimmo più.
"Mi piace""Mi piace"
🙂
"Mi piace""Mi piace"