Paesaggi liminari

Questa foto qui sotto l’ho scattata a circa 1800 metri di quota sopra Forno Alpi Graie nel versante a solatio dell’alta Val Grande di Lanzo, proprio dove questa Valle sbatte contro la muraglia della sua testata.

E’ l’imbocco del recondito vallone di Sea.

vallone di Sea

Di fronte alla rara, selvaggia e severa bellezza di questo profondo e tortuoso solco rimango muto, impassibile con l’anima nuda ad ascoltare la potenza della natura, immerso in silenzi arcaici.

Poche valli possono vantare un luogo così distante dal mondo, quasi repulsivo se lo si osserva da lontano, come state facendo. Vi viene voglia di addentrarvi?

Ma questa scena cruda la sto contemplando sotto un sole incorniciato di bianco. E’ una splendida giornata di fine dicembre e mi trovo in compagnia degli spiriti silenziosi che volteggiano intorno a noi, al cospetto della Levanna e di quella irresistibile barriera di roccia, neve e ghiaccio che ci separa dalla Savoia.

Da qui il vallone di Sea è ipnotico. Ti senti come risucchiato da una forza irresistibile.

Osservate quella foto: siete di fronte ad una soglia pluridimensionale. Intanto il tempo cronologico. Intanto le forze della natura. E poi la dimensione verticale e quella sacrale.

Il vallone di Sea è un perfetto simbolo dell’ignoto: racchiude in sé tutte le inquietudini e le angosce che hanno colto gli esseri umani di fronte a ciò che è sconosciuto come ci racconta Ariela Robetto ne I luoghi delle certezze: «scopriamo allora che, più o meno coscientemente, l’uomo si considera un intruso nello spazio naturale che lo accoglie e che è già popolato di spiriti, veri proprietari del territorio, soli dispensatori della fertilità essenziale per la sopravvivenza».

Sea è pieno di spiriti.

Guardate quelle pareti strapiombanti dove la neve non si ferma mai. Fissate il sinuoso movimento del vallone: sembra che tra quelle pareti scorra qualcosa, sembra che la valle si muova come un serpente. E’ l’eredità lasciata dall’attrito del ghiaccio lungo centinaia di migliaia di anni. Un immenso fiume ghiacciato riempiva il vallone di Sea e lì, in quella curva, le pressioni stratosferiche della massa glaciale, con il movimento verso valle, hanno levigato la roccia rendendola irresistibile a chi ama scalare.

pareti

Basta questo per salire, come dei passeggeri, su di un treno speciale che ci fa viaggiare nel tempo alla velocità della luce. Di fronte a questa scena stiamo accedendo ad un passato lontanissimo dove, come in un film, assistiamo alla storia naturale e geologica di questo luogo liminare.

Visioni. Sembra quasi di poterlo vederlo l’immenso ghiacciaio che ci viene incontro.

Vi suggerisco di farvi sedurre da Sea in perfetta solitudine per vivere un’esperienza profonda che vi plasmerà l’anima ineluttabilmente perché ad ogni passo compiuto, ad ogni metro di dislivello guadagnato, vi allontanerete di chilometri dalla vostra civiltà. Così facendo, forse, prenderete contatto con altre civiltà, quelle che dormienti albergano negli abissi del vostro inconscio.

Il vallone di Sea è stato uno dei miei primi sogni. Un richiamo fortissimo. Come se una voce provenisse da quei turbini di vento, roccia e ghiaccio invitandomi a superare la soglia. Come sirene. Per sentire fino nel sangue cosa significa essere degli intrusi. Nudi sulla soglia.

Uja di Mondrone

Sea ha fatto incontrare i suoi spiriti ad uomini eccezionali che hanno avuto l’onore di accoglierli nel loro di spirito.

Sea ha attirato quegli uomini ad incontrarli anche in quelle pareti strapiombanti. E tra il caos di massi erratici.

E dopo, cosa si disvela davanti ai nostri occhi? Potrei proporvi qualche personale descrizione ma penso che la cosa migliore sia lasciar scoppiettare la vostra fantasia. Una cosa però ve la dico. C’è una parete enorme che vi attende e che incomberà su di voi: sono i mille metri di roccia della nord dell’Albaron di Sea.

E poi, un bivacco, dimora di altri spiriti e di sogni alpinistici. Pareti nord, seracchi, colli, vette sfavillanti sopra di voi, intorno a voi. Roccia. E cielo.

La proiezione al di fuori di noi del senso di intrusione e dell’ignoto. Dello spaventevole.

Così, forse, era anche per le antiche popolazioni alpine, i primi coloni che stabilirono la loro umile dimora su questi versanti.

Cosa ci fa un santuario all’imbocco di questo mondo dominato dagli spiriti della natura, quella profondamente selvaggia, severa ed ostile?

Come un avamposto? O forse come una barriera per fermare i ruggiti della natura portentosa? L’impeto tumultuoso dell’acqua, il brontolio della valanga, il lamento dei seracchi che cedono sotto il loro peso, l’urlo del vento, il sordo e secco rotolamento dei massi che piombano dalle cime… La violenza della tempesta.

Santuario Madonna Nera

E il Santuario della Madonna Nera. Perché lì? Non domina alcuna altura, se ne sta in disparte, quasi con tono sommesso, ad accogliere i viandanti.

E perché della “Madonna Nera”?

Avamposto di frontiera, un luogo liminare a spartire ciò che è dato conoscere agli uomini e ciò che è sconosciuto, mondo altro, abitato da altri “esseri”.

Noi di qua. Voi, ruggenti e feroci, dall’altra parte.

Una linea netta di demarcazione tra la cultura – il mondo conosciuto – e la natura con i suoi spiriti.

Il Santuario è sorto nel 1630 a seguito di un accadimento miracoloso, dove, forse, antecedentemente prosperava un bosco sacro al mondo pagano. Una foresta scelta dai Celti.

In foto notiamo versanti boscosi, un profondo solco vallivo, Sea e le vette che lo dominano. E il freddo glaciale.

Santuario

Quello che non vediamo è un insieme denso di simbologia.

Masche, massi, fate, caverne, boschi, acque… Quanto basta affinché il cristianesimo si impossessasse di questa frontiera per dominare lo sconosciuto che dimora nel profondo degli uomini e per cacciar via il demonio che signoreggiava liberamente sulle Alpi.

Santuario Madonna nera

Quel Santuario dal 1630 diventa meta di pellegrinaggio intervallivo. I fedeli giungono da ogni vallata, anche dalla Savoia attraverso il glaciale Col di Sea (3100 m), come ci racconta il conte Francesetti di Mezzenile nelle sue “Lettres sur les Vallèes de Lanzo” del 1823 «qui passent le Col de Sèa ou le col de Girard, attachés les uns aux autres au moyen d’une longue corde, pour se soutenir mutuellement et s’empêcher de tomber dans les profondes crévasses qu’ils renferment quelquefois, et qui son souvent cachés, comme un piège, par une légère voûte de neige incapable de soutenir le poids d’un homme».

Vallone di Sea

Tentiamo ora un balzo in avanti, con la nostra macchina del tempo, e cogliamo un paesaggio liminare di epoche più recenti, osservando il vallone di Sea con gli occhi Marco Blatto che così ci racconta nel libro Del sentimento della vetta e della meta (Rivoli 2012):

«All’inizio dell’autunno del 1981, il vallone di Sea è pressoché deserto. Pochi escursionisti vi transitano, ancora meno numerosi sono gli alpinisti. Le foglie dei maggiociondoli e dei frassini ingialliscono e il sole spunta sempre con maggiore fatica dalle alte e tormentate creste della cima di Leitosa.

Un uomo solo sale con passo lento e cadenzato lungo il sentiero che conduce all’alpeggio di Balma Massiet: è Gian Piero Motti. Giunge al pianoro disseminato di massi dalle forme e dalle dimensioni svariate. Si sdraia su uno di questi.

Sea

Quante volte è passato di qui, da adolescente, durante le sue prime gite escursionistiche, oppure in anni più recenti, di ritorno da qualche classica ascensione nel gruppo Sea-Monfret.

Altre volte, su quei blocchi si è cimentato in ardimentosi passaggi di arrampicata con il suo più giovane “discepolo”, Marco Scolaris. Egli osserva la bella “Guglia Verde”, dove Isidoro Meneghin ha da poco completato in solitaria la “Via della Sorgente Primaverile”. La particolare forma della torre rocciosa gli ricorda il “buon mago della sera” de Il Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien, così la battezza “Torre di Gandalf il Mago”. La fantasia visionaria e romantica dell’ideologo del “Nuovo Mattino” corre lontano, per rimbalzare di parete in parete. Poco più in là, inventa la “Reggia dei Lapiti” e il “Droide”, ed ecco che le tre grandi pareti del Massiet diventano rispettivamente lo “Specchio di Iside”, la ” Parete dei Titani” e il “Trono di Osiride”…

Mitologia nordica, classica ed egizia, danno anima e vita improvvisa alle grigie e repulsive pareti del vallone che, fino a quel momento, avevano al più, secondo le cuentes, ospitato sabba di streghe e di diavoli, oppure visto misteriose processioni di anime penitenti.»

Ma qual’è l’origine delle Madonne nere?

Ariela Robetto in I luoghi delle certezze ci spiega che un’interpretazione dell’origine di queste Vergini scure c’è la può fornire il velo di colore verde che ne ricopre il capo. Infatti tale colore rimanda al culto di Iside, l’antica “dea universale” egizia che nelle iscrizioni è designata come “la creatrice delle cose verdi”, “la verde dea il cui verde colore è come la verdura della terra” a designare i suoi carismi quale divinità dell’abbondanza e della fertilità. Parimenti il colore verde era attribuito a Cerere, antica dea italica della fecondità dei campi poi identificata con la greca Demeter e con Cibele. Non è sicuramente questo l’ambito per addentrarci nell’annoso dibattito teso a chiarire le motivazioni del viso e delle mani di alcune Madonne quando secoli di tradizione e di iconografia cristiana ci hanno abituati all’immagine di Maria bianca e bionda.

Concludo il post con questo passaggio del libro di Marco Blatto (Del Sentimento della vetta e della meta) con il quale ci mette in contatto con  il pensiero delle “Antiche Sere” di Gian Piero Motti sorto proprio tra i paesaggi liminari di Sea:

«Scrive Motti:

“[…] Perché Antiche Sere? Perché un albero mette frutti e fiori soltanto se ha radici e soltanto se la linfa vitalepareti di Sea scorre dalle radici ai rami: se si taglia l’albero all’altezza delle radici, ahimé!, ben presto esso morirà, diverrà un tronco secco da ardere, senza fiori e senza frutti. Qualcuno, forse in buona fede, ha cercato e sta cercando di segare l’albero per staccarlo dalle sue radici, con l’illusione di dargli finalmente la libertà di movimento. Ma forse si è ancora in tempo a porre riparo, a cicatrizzare la ferita, ormai molto estesa, e a ricollegare i capillari della linfa con le radici sotto stanti. Molti cominciano già a vedere che l’albero dà frutti avvizziti, quasi non dà più fiori, va perdendo le foglie e rinsecchendosi nei rami. Ed è per questo che mi sono preso l’arbitrio di usare tanto mito nel battezzare le pareti: lo si voglia o no, è nel mito che possiamo trovare il senso del nostro esistere e la risposta ai grandi perché della vita”.

Le “Antiche Sere” rappresentarono forse una delle ultime espressioni manifeste di pensiero del mondo alpinistico contemporaneo, in cui si possono rilevare tutti gli elementi del romanticismo: la percezione del paesaggio, l’empatia, lo slancio sentimentale, il volo di fantasia, il riferimento all’idealismo magico di Novalis, il simbolismo, la nostalgia.»

Magia.

Pura magia tra montagne irresistibili, ricche di misteri e di abissi del tempo.

A voi il compito di sfiorare il limine del vostro paesaggio interiore.

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Per ammirare i paesaggi liminari del vallone di Sea vi propongo un’escursione che ha come meta il Bivacco Soardi-Fassero (2297 m).Bivacco Soardi-Fassero

Partenza: Forno Alpi Graie (1219 m, fraz. di Gorscavallo, provincia di Torino)

Difficoltà: E – escursionistico

Periodo: da giugno a ottobre

Dislivello: 1078 m

Segnavia: 308

Tempo di salita: 3h 30′ – 4 h

Cartografia: carta n. 8 “Valli di Lanzo” scala 1:25.000 della Fraternali editore.

22 pensieri riguardo “Paesaggi liminari

    1. Grazie, volevo proprio trasmettere delle belle emozioni. Cavolo, se me lo dici tu…allora ci sono proprio riuscito!

      Grazie anche della segnalazione del libro di Jorio che sicuramente tenterò di rintracciarlo.

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  1. Bello.
    Tempo fa avevo scritto di Sea in un articolo della Rivista Pareti intitolato: “Il sorprendente scrigno del mago”…Sea è come uno scrigno che custodisce mille storie e mille segreti, come il misterioso “tesoro” di “Isi” Meneghin, un bauletto di chiodi e moschettoni sotterrato in qualche angolo del “Castelletto”, il prato sospeso di Mombran…Oppure il mistero della morte del seminarista, scomparso sulla senghia dou prevent alle pendici dell’Albaron, i cui resti furono ritrovati da Pinu e riportati l’anno dopo a Forno nello Zaino! E che dire dell’acero secolare “pietrificato”, detto il Totem, che appare all’estrema sinistra della parete del Naufrago al viandante più osservatore, oppure della grotta di Pian Rouvas, delle correnti fredde di Pian Ghieis, del Simiteri dou bech, l’anfratto sulla cengia sospesa di Marmorand dove gli stambecchi più vecchi vanno a morire… Vi è poi la curiosa storia della Masca dou Ciapel nei prati di Rignousa sotto il Santuario. Lo spirito evocativo della pietra aveva rapito la sensibilità di Gian Piero Motti, che di certo aveva letto però la “Filosofia delle forme simboliche” di Cassirer.
    Così era per Gian Carlo, meno raffinato ma così genuino nel suo rapporto con il vallone. Quando lo incontravo rimanevo stupito da come trasparisse prepotentemente che il suo genius loci albergava lì, e non sulle gigantesche pareti del Maudit o del Freney. Un giorno eravamo alla base della Reggia dei Lapiti dove Gian ci decantava le bellezze e il mistero della sua neonata via Megaloman. Ad un certo punto s’interruppe e disse: “ascoltate!” tendendo l’orecchio alla roccia. Noi ovviamente non udimmo nulla, ma Gian partì di corsa giù per la pietraia a braccia aperte come se stesse planando, tra gli sguardi increduli! Sotto, ci disse che aveva udito lo spirito dell’aquila… probabilmente era vero. Grassi era così, e questa è Sea.

    M.B.

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    1. Caro M.B., dico solo che leggendoti ho davvero sentito un brivido lungo la schiena.

      Mi commuvo sempre quando sento parlare di personaggi così speciali come Motti e Grassi.

      Bellissimi quei toponimi!

      Grazie!

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  2. Grazie anche da parte mia. provo queste ‘sensazioni’ fin da quando andavo in montagna da bambina – mistero, senso del magico e del tragico, casa ed estraneità allo stesso tempo, più qualcosa di ancora più grande e sfuggente – ma è sempre molto difficile esprimerle ( e trovare qualcuno che ne parli), e tu lo hai fatto molto bene, citando anche degli autori molto interessanti. state facendo un gran lavoro…

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  3. E’ bello ricordare l’umanità del personaggio Grassi, “Re di Sea”, attraverso i piccoli episodi, quelli che forse non compariranno mai sui “grandi libri”, sulle pagine agiografiche o di circostanza. Sono le testimonianze più sincere, il cui vivo ricordo quasi ci permette di fare un salto indietro nel tempo, creando l’illusione che Gian Carlo sia ancora qui, tra noi. Ecco la breve storia della Masca dou ciapel.Era l’inizio dell’autunno del 1988. Prossimo al congedo, la sera era per me consuetudine passare poco prima della chiusura dal negozio di articoli per la montagna dei Fratelli Ravaschietto a Cuneo. Qui un giorno incontrai Gian Carlo che aveva portato alcune copie del suo recentissimo “Sogno di Sea”, la topo-guida delle arrampicate nel Vallone di Sea, un luogo a me assai famigliare. Lo acquistai subito e, nel mentre, fui da lui riempito di foglietti dattiloscritti di relazioni di nuove vie che, di fatto, rendevano la guida appena uscita in qualche modo già “superata”. Tale era la messe delle “aperture” di Gian Carlo! Tornato a casa divorai letteralmente quel libro andando alla ricerca spasmodica della collocazione di tutti quei tracciati. In un freddo pomeriggio di inizio autunno, salito un po’ tardi e da solo nel vallone sospeso di Leitosa, trovai lungo la debole traccia di sentiero un cappello di lana in stile “andino”, alquanto infeltrito. Ignorando che si trattava dell’inseparabile berretta di Gian Carlo, mi chiesi chi potesse averlo perso in quel vallone così sperduto tra le nebbie. Al mio ritorno decisi di riportarlo a valle. Poco sotto il santuario di Forno Alpi Graie, prima che i prati fossero in parte cancellati dall’alluvione del 1994, vi era una curiosa stele arrotondata detta “pala dal mascas” (stele delle masche). Convinto che costituisse un buon punto di ritrovo e soprattutto visibile per chi lo aveva perso, ve lo infilai sopra.
    L’imbrunire e la natura del luogo rendevano a dire il vero il curioso pupazzo un po’ inquietante.
    Gian Carlo era salito in Leitosa con Marco Fassero per aprire una nuova via alla Cresta della Cittadella e non si era accorto che nel lungo avvicinamento aveva perduto il cappello posizionato sulla patella dello zaino, forse perché arpionato dal ramo di un ontano. Quando lo ritrovò ormai a notte fatta su quel curioso sasso monolitico, restò alquanto sorpreso. All’Albergo Savoia, celebre ritrovo degli scalatori a Forno Alpi Graie, dove Grassi era di casa e conosciutissimo, la signora Ines Teppa (la famosa “Nonna Ace”) udita la storia affermò che doveva trattarsi di una “mascrogni”, ovvero di uno scherzo tipico delle masche che poco tollerano coloro che si attardano nei loro luoghi oltre il calar del sole.
    E nacque così a Forno la diceria della Masca dou Ciapel (Masca del Cappello), per un brevissimo tempo però, perché il sottoscritto pochi giorni dopo incontrò Gian Carlo in parete con il caratteristico cappello in testa.
    La mascrogni fu così svelata e il vallone di Sea perse una possibilità in più per nutrire la sua già enorme aura magica. Ma, ancora oggi, è nota tra i “seani” la storia della “Pala dal mascas” di Rignousa….

    M.B.

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  4. Primavera 1983. Gian Piero ha ultimato la sua monografia “Alla ricerca delle Antiche Sere”, un lavoro che ha iniziato nel 1982. Nessuno immagina che quello sarà il suo ultimo scritto, non a caso su Sea, e tanto meno che dietro le righe vi si nasconde il suo testamento spirituale. La primavera offre delle belle giornate e Gian Piero sale a Balma Massiet. Ma non arrampica. Guarda Marco Scolaris che sta tracciando alcuni passaggi al masso a lato della scalinata del Santuario. Poi torna in piazza a Forno, sale in macchina e rimane sdraiato per ore sul sedile abbassato.
    Ma Gian Piero è così e nessuno dà peso al fatto. Una sera di maggio arriva ai massi di Balme di Cantoira con Marco Scolaris. Ci siamo io Guido Bronzino, Paolo Demartini, poi c’è Simona Rudà di Chialamberto con altri che sono venuti a prendere il sole. E’ l’ultima volta che probabilmente vedremo arrampicare Motti lì. In quella giornata, Scolaris apre il suo celebre passaggio.
    A giugno la tragedia, che lascia tutti sbigottiti. Quattro giorni dopo quel fatidico 22 giugno Manera, “Isi”, Franco Ribetti e Gianni Ribotto tracciano la “via dell’Addio” alla Parete dei Titani. E’ il saluto ideale all’amico scomparso. Questa salita segna il termine del breve ma intenso periodo delle “Antiche Sere” in Sea (1980 – 83). L’estate seguente io e Marco Casalegno saliamo a Balma Massiet e segnamo con frecce di vernice bianca i primi passaggi dei massi di Balma Massiet, dedicando il circuito proprio a Gian Piero. E’ quello il nostro saluto in un luogo che lui aveva tanto amato. Nasce il circuito di “Polvere di stelle”. Oggi, una targa di legno ricorda proprio tra quei massi il visionario periodo delle Antiche Sere. E pochi sanno che il masso più caro a Motti fu il Cubo Magico, di fronte alle prese dell’acquedotto, misterioso luogo d’incontro serale di stambecchi. Pochi giorni dopo al Roc dou squerss si consuma il divertente scherzo ai danni di Gian carlo Grassi…Ma questa è un’altra storia.

    M.B.

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    1. Ti ringrazio tanto per aver riportato su questo blog “pagine” di alpinismo davvero stupendo.

      A giugno di quest’anno sono 30 anni dalla scomparsa di Gian Piero Motti. Vero?

      Vorrei che gli amici del blog sapessero che ho deciso di scrivere su Sea senza sapere che quest’anno cadeva questo anniversario.

      E’ una coincidenza pazzesca!

      Oggi avrei voluto scrivere alla Scuola di Alpinismo Motti ma non sono riuscito a trovare un contatto nel loro sito (mi sembra che vogliano la registrazione).

      Immagino che ci saranno già in programma delle manifestazioni per ricordarlo. Almeno lo spero.

      Da parte mia, per quello che posso fare, lo farò sicuramente. Se ti va di scrivere qualcosa (ma l’hai già fatto…) penso che sarebbe molto bello poterlo pubblicare.

      Ci sono cose che mi scuotono parecchio, che mi fanno provare emozioni forti e sicuramente un certo tipo di alpinismo, con i suoi esponenti, mi fa questi effetti.

      Quello che tu scrivi ha il potere di farmi rivivere emozioni intense che ho provato proprio in quei luoghi che amo tantissimo.

      Spesso avrei voluto raccontare di persone speciali (anche se non così importanti come quelli che tu hai conosciuto) e gli altrettanti luoghi che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio approccio con la montagna, avvenuto proprio nelle Valli di Lanzo, ma penso che non ci riuscirei. Certi ricordi ed emozioni sono così intimi che è difficile esternarli.

      Ho i miei limiti.

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      1. Caro Beppe,

        Sicuramente la Scuola Motti (ma il Cai Torino stesso) ricorderà in qualche modo Gian Piero.
        Un pò troppo tardi a mio avviso. Per anni lo stesso Grassi non venne ricordato in modo degno dall’ambiente torinese. Dopo il video “Sogno di Sea” realizzato da me e Angelo Siri, fu giocoforza per noi pensare ad un ricordo di Gian con “L’uomo del giardino di cristallo”. Il video ha avuto un grande successo ed ancor oggi viene puntualmente presentato in tutta Italia. L’ambiente torinese, quello “per bene”, con la sua stampa istituzionale, la sera della “prima” a Torino del filmato, fece pubblica ammenda sul fatto d’aver a torto dimenticato troppo a lungo di ricordare Grassi. Eppure così non era successo qui da noi dove, puntualmente, grazie al ventennale sforzo di pochi “seani” per salvare le pareti dall’oblio, si ebbe l’occasione di scrivere più volte di Gian e di Gian Piero in quegli anni. Ricordo solo alcuni dei miei scritti: “La valle dei profeti” sulla Rivista della Montagna, “Il sorprendente scrigno del mago” su Pareti, “Sea cuore di pietra” su Pagine del Piemonte, “Sea magia del tempo” su rivista del Cai, fino alle più recenti pubblicazioni, con “Gian Carlo Grassi, l’avventura libera e totale” e “Gian Carlo Grassi, l’amico, l’uomo e il maestro”, entrambi sulla prestigiosa rivista edita da Nuovi Sentieri. “Montagna”. Poi, gli ampi capitoli dedicati a loro sulle mie ultime pubblicazioni…La pubblicistica “minore” sui due personaggi ha dunque tappato il buco della cultura istituzionale subalpina, fatto salvo per i Falliti e la Storia dell’alpinismo (esaurita) edite da Vivalda nei Licheni. Molto spesso si è trattato di ricordi agiografici che secondo me colgono poco il legame tra i due personaggi ed il loro milieu più intimo: le Valli di Lanzo. Vi è poi il filmato “Cannabis rock”, da cui se Grassi esce con una certa santificazione, Motti ne esce disastrosamente grazie alle incredibili parole di Cassarà. Ciò provocò in me una dura reazione con l’amico maestro – giornalista, che ebbe poi a spiegarmi che si trattava di un montaggio mal fatto delle sue esternazioni….(!). In ogni caso, al di là di quello che succederà a livello “torinese”, di certo anche noi ricorderemo a modo nostro Gian Piero, tra maggio e giugno. Faremo una gita lungo il sentiero “Motti” (altra nostra iniziativa all’epoca) per ricordare i luoghi da lui tanto amati e coglieremo l’occasione per sistemarlo un pò. Vi sarà poi una serata con immagini per fornire una lettura più “nostrana” di Nuovo Mattino e Antiche Sere. Usciranno articoli e, se riusciamo, faremo una piccola mostra documentaria, forse a Breno. Con Angelo si stava organizzando la sceneggiatura di un piccolo video, ma difficilmente visti i molti impegni di ciascuno, potrà essere pronto per l’estate. Anche il Vallone di Sea Climbing meeting 2013 troverà il modo di ricordare il “Principe”.Giovedì ci troveremo a Torino con il comitato Ferreri, per organizzare il cartello delle manifestazioni per i 150 anni del CAI in Val Grande…non è detto che qualcosa relativo a Motti non possa scivolare in quegli eventi. Vedremo. Se ti fa piacere, intanto, puoi postare qui il pezzo sulle Antiche Sere che ho scritto su mountainlog/marcoblatto.

        M.B.

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        1. Spero che ci terrai informati di tutti gli appuntamenti dei prossimi mesi che riguardano questo straordinario personaggio che vale la pena di essere ricordato e fatto conoscere alle nuove generazioni.

          Grazie.

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  5. Bellissimo post! Non conosco a fondo il vallone di Sea ma tutto quell’ambiente roccioso, complice l’isolamento del luogo, mi dà l’impressione che sia uno di quei luoghi dove veramente si senta l’espressione primigenia della natura e della Terra!

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  6. Fantastico Beppe, grazie per questo viaggio nell’incredibile Vallone di Sea. Il Sea scatena sempre emozioni forti, sorprendenti. Se ci finisci dentro poi una parte di te se ne resta lì.

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  7. La passione che usi nelle tue descrizioni riesce a trasmettere l’incanto che vivi e a farlo vibrare nell’anima di chi legge. Ogni volta mi fai entrare in un mondo che vorrei frequentare di più ma che custodisco nel cuore.
    Grazie Beppeley!

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    1. Grazie… questi sono commenti che mi ripagano completamente degli sforzi che compio per tentare di fare proprio quanto tu hai descritto.

      Sono molto contento!

      P.S.
      A proposito di luoghi che custodisci nel cuore… se hai letto l’ultimo post, c’è implicitamente un invito a conoscere proprio queste angoli stupendi delle nostre Alpi… quindi, se vuoi aggregarti, sai dove trovarci!

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