L’ecosistema delle Alpi è estremamente delicato sia dal punto di vista climatico che economico.
La morte è intesa come presenza costante e parte integrante della vita dei montanari: è il ciclo della vita e i bambini imparavano a conviverci sin dalla tenera età.
Nella notte del primo novembre si percepisce particolarmente la presenza dei morti.
Le innumerevoli leggende fiorite sulle Alpi, e il rispetto per il sacro, permettevano alle genti alpine di sopportare meglio la durezza della vita e la mancanza di risposte razionali alle domande poste al severo e pericoloso ambiente che li ospitava.
Questa è quella che vorrei farvi leggere e che proviene dalla Valsesia (VC).
In Valsesia si raccontava che alla mezzanotte della festa dei morti le anime uscivano dai cimiteri e da ogni anfratto della montagna, anche dai crepacci, e silenziose formavano una lunga e mesta processione che risaliva la valle verso il Monte Rosa; man mano che il tacito corteo avanzava si arricchiva di nuovi elementi fino a formare una colonna interminabile.
La notte buia rendeva difficile il cammino sui tortuosi sentieri, allora dal dito mignolo di quegli spiriti viaggianti si sprigionava una fiammella che illuminava la via e la processione appariva come uno splendente serpentone che rischiarava i candidi pendii innevati, spazzati dalla bufera che imperversava senza turbare l’avanzare lento e inarrestabile di quegli esseri soprannaturali.
Quando per puro caso gli spiriti si imbattevano in un essere umano, si fermavano e lo nominavano cavaliere, gli davano la possibilità di esprimere un desiderio e gli donavano un bastone miracoloso in modo che potesse camminare dinnanzi a loro e guidarli a superare ogni ostacolo che incontravano sul loro cammino.
Dove la processione incontrava dei salti di roccia o delle voragini si arrestava, l’anima che maggiormente aveva peccato usciva dalla fila e risaliva la lunga processione per portarsi vicino al precipizio, quindi si allungava sul baratro e aggrappandosi con le mani alla sponda opposta si collocava di traverso formando una passerella su cui transitava la moltitudine; quando anche l’ultimo essere era passato si sollevava anche lei dalla voragine e lentamente rientrava nella mesta teoria di spiriti.
Le anime dei morti camminavano tutta la notte, dovevano raggiungere i ghiacciai del Monte Rosa prima che l’alba rischiarasse le vette e quando vi giungevano si inginocchiavano e con migliaia di spilli bucavano il manto ghiacciato, solo quando tutto il ghiacciaio fosse stato completamente bucherellato le anime sarebbero state purgate dai loro peccati commessi nella vita terrena.
Così nel passato, durante la notte dei morti, gli abitanti della Valsesia si alzavano e ascoltavano rabbrividendo il rumore portato dal vento delle anime dei trapassati che picchiettando con gli aghi sui ghiacci espiavano le loro colpe.
(tratto da “Leggende e credenza delle Alpi Piemontesi – Storie di demoni e di santi di despoti e di amanti di belve e di spiriti – Enrico Bertone – Priuli & Verlucca”)
Nel vallone di Sea la processione delle anime penitenti (“lo cors”) iniziava dai prati di Navers e si spingeva lungo il torrente di Sea fino a Pian d’la rouva , quindi la processione rimaneva sul sentiero che occupava il fianco destro idrografico fino alle soglie del pianoro del Massiet, dove un antico ponte di pietra a secco, ancorato sulle rocce, riportava sulla sinistra idrografica (il “passet” sulle rocce dell’altra sponda, sarà realizzato solo nel 1970). Di questo ponte restano oggi, – al di sotto del sentiero e nascosti alla vista del viandante – poderosi gradini. Raggiunta Balma Massiet si poneva però il problema dell’attraversamento del torrente in più punti. Ed era qui che interveniva una figura “umana”, un locale dotato però di poteri sovrannaturali che oltre a guidare lungo i rovinosi passi di Sea le anime penitenti, si sdraiava sul torrente a guisa di “ponte”. Questi poteri non venivano tramandati, ma erano le anime a scegliere la loro guida. Nessuno, in paese, sapeva però di chi si potesse trattare. “Lo cors”,che proveniva anche dalle valli della Moriana e del Brianzonese, era accompagnato da una leggera nennia: ” réveillez! vous qui dormez! et priez pour les âmes des morts!”
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Meraviglioso! Grazie mille!
Ecco, adesso vorrei avere sottomano una carta escursionistica con indicazione di tutti quei toponimi, così potrei divertirmi andandone alla ricerca proprio sul territorio.
Queste leggende sono bellissime.
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via auguro una buona festa di Ognissanti… Pif
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Nelle Valli di Lanzo è assai diffusa la leggenda di viventi che guidano le processioni dei morti e trascorrono ore sdraiati sui torrenti per consentire il guado alle anime dei trapassati: vengono chiamati li porteur dli mòrt.
Essi conoscono misteri inaccessibili a tutti gli altri uomini, l’ora della propria morte e quella degli abitanti del loro villaggio, sono tenuti da tutti in concetto di santità. A Ceres era diffusa la credenza che fosse lo stesso coòrs dei morti a dirigersi verso la casa in cui vi era un malato in agonia per raccoglierne lo spirito: è questa una tradizioni proveniente dai Germani.
L’elemento ponte, in relazione ai defunti, è tema frequente nella letteratura celtica. Il ponte ed il suo equivalente, il guado, sono una frontiera magica intangibile, il punto di contatto fra due universi, il no man’s land poiché gli spiriti non possono superare le acque; l’acqua corrente rappresenta sempre la frontiera dell’al di là nel pensiero primitivo.
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Grazie mille per averci condotto in questo piccolo grande viaggio al di là del tempo e dello spazio dove incontrare antiche popolazioni delle Alpi. Ho subito pensato ai guadi del vallone del Crosiasse, finalmente nuovamente attraversabili, che si incontrano percorrendo il sentiero n. 241. La prossima volta che ci andrò, penserò a quanto ci hai raccontato.
Fare escursionismo nelle Valli di Lanzo così, acquista quel tocco di magia e leggenda che lo rende una magnifica esperienza senza tempo.
Grazie!
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