Dove i santi incontrano le masche

Cappella di san Matteo a PessineaLe leggende non puoi vederle mentre percorri i sentieri delle Valli di Lanzo. Eppure loro fanno parte a pieno titolo del paesaggio culturale delle montagne, quelle costruite dalle genti alpine.

La differenza tra una passeggiata per osservare montagne in vetrina, come se fossero su di un palcoscenico, e l’Escursionismo è tutta qui: andare alla ricerca di ciò che non si vede con gli occhi ma di quello che può “vedere” la nostra mente quando lasciamo scivolare l’anima lungo i sentieri delle Alpi.

Quanto segue è una parte dell’universo potenzialmente osservabile se vi troverete a condurre la vostra anima lungo l’anello storico di Lemie (v. post precedente).


Dove i santi incontrano le masche

Testo di Ariela Robetto

Nella topografia del prodigioso montano esistono i luoghi dell’ambivalenza – locus amœnus, locus terribilis – dove si presentano contemporaneamente il Santo e la Strega, il Bene e il Male. Luoghi in cui ci si reca per pregare, dove è possibile incontrare il devoto adempiente tutti i precetti della Chiesa, ma che, a una certa ora, con l’approssimarsi del buio notturno, diventano spazi per il raduno di esseri maligni i quali presso l’edificio sacro si ritrovano per compiere riti nefasti.
Non fanno parte forse dell’antitesi e si possono leggere come metafora del mondo degli umani dove il grano e le erbe cattive, secondo il tramandato dalla parabola evangelica, hanno lo stesso diritto di crescere nel campo della vita.
Dalla letteratura medievale del meraviglioso scopriamo d’altra parte che la funzione primaria della montagna è quella di confine non solamente naturale, ma anche mitico di un altro mondo, dell’aldilà, cerniera intermediaria tra l’uomo e gli dei, i demoni e le loro forme secolarizzate. La sua cima è prossima al cielo e la sua base attiene al regno dei morti. A partire dal XII secolo diventa soggiorno di fate e di diavoli a motivo del suo carattere pagano, più tardi le streghe vi tengono i loro incontri sabbatici; essa è quindi il punto di incontro fra il nostro mondo e il “sacro” nelle sue connotazioni positive e negative. Non è dunque difficile scoprire che la sua oscura ambiguità, la sua ambivalenza sono logica conseguenza del fatto che essa partecipa a due mondi differenti in quanto frontiera fra i cristiani e l’Anticristo(1).

fontana a Pessinea
Fontana di Pessinea

Una frazione di Viù, collegata solamente negli anni Settanta alla strada provinciale e rimasta quindi a lungo isolata sul versante destro della valle salendo verso Lemie, si chiama Pessinea. Il piccolo agglomerato di case proprie della zona, alcune in completo abbandono, altre recentemente ristrutturate, conserva ancora le strutture di qualche benàl(2), al riparo dei quali un tempo veniva ammassato il fieno; il forno sotto tettoia in cui due volte l’anno, nei giorni solstiziali, si cuoceva il pane da parte di tutti gli abitanti della borgata e la fontana un po’ discosta dall’abitato, all’imbocco del sentiero costellato di pilonòt che conduce alla Madòna do Truch, adornata da un rosone solare inciso nella pietra (la “rosace” tipica della civiltà alpina) che guarda lo scorrere di un’acqua gelida baluginante nel bornel rivestito di muschi.

Santuario Maddona del Truc
Santuario Madonna del Truc sul sentiero n. 131 della Val di Viù

Fra il dedalo delle chintane che l’attraversano intersecandosi in brevi slarghi e airal un po’ più ampi, sorge la bianca cappella dedicata a san Matteo(3) con le due classiche sedute in pietra poste in facciata al di sotto delle finestrelle laterali, secondo l’architettura caratteristica delle chiesette valligiane. Qui, ad un angolo del minuscolo spiazzo fungente da sagrato, un masso reca scavate quattro grandi coppelle e una più piccola, segno antico di sacralità del luogo.
Si racconta che su questi sedili, i quali durante il giorno ospitavano le donne che o fason maji cantilenando rosari e giaculatorie, i giochi dei bambini e il riposo tra i ricordi dei vecchi, si dessero appuntamento, allorché la notte era ormai fonda e si erano spenti i lumi nelle povere case del borgo, le masche che sarebbero poi trasvolate in alto, al Piän do Grané per i loro incontri demoniaci. Gli esseri del male, che avevano ceduto al diavolo la loro anima e non avevano più speranza di redenzione, giungevano qui dai luoghi più disparati il venerdì notte: erano streghe di straordinarie capacità e i loro poteri malefici incutevano terrore ai montanari che abitavano durante la bella stagione le miande al di sopra di Pessinea.

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Una di esse era la panatéra d’la Venaria la quale arrivava sempre in ritardo all’appuntamento con le compagne poiché impegnata sino a tarda ora a impastare, infornare e cuocere il pane; dopo di che (soffregatesi le terga con l’unguento arcano racchiuso nel tupinòt celato fra lievito e farina) fendendo il buio della notte, sorvolava cime e crinali, superava valli e torrenti e giungeva trafelata presso la chiesuola di san Matteo dove le “consorelle” l’accoglievano con aspri rimproveri, stanche della lunga attesa trascorsa sulle sedute della cappella. Da qui, tutte insieme, volavano in stormo al Piän do Grané. Lassù, nel vasto pianoro, in fondo al quale sorgono, addossate solitarie alle pendici aride del Ciarm, le miande do Tòino, si scatenavano nella più sfrenata delle sarabande, sino a quando, sopravvenute le prime luci alabastrine dell’alba, non ritornavano presso le rispettive magioni, nei caldi letti di mariti ignari i quali avevano dormito serenamente, ben lontani dal dubitare del daffare notturno delle consorti.

pilone votivo a Pessinea
“Dimensioni” dello spazio alpino

Tra Pessinea e il Grané si incontrano le miande del Tabojin alle quali da maggio a novembre salivano alcune famiglie con il bestiame per il pascolo estivo: i montanari le notti del venerdì sentivano sempre musiche, risate, urla e si rinchiudevano presto nelle abitazioni temendo cattivi incontri. Una notte però decisero di sfidare le creature del diavolo e, affacciatisi sull’uscio dei loro tet, gridarono in coro «Maschës do Grané, cali giù si n’a valé!».
In un attimo nugoli di streghe si abbatterono come grandine sulle casupole del Tabojin e i loro occupanti fecero appena in tempo a raccogliere forciòtte, trente, mossoeri e rastej e a disporli incrociati dietro le porte. Le masche, rese impotenti dal segno salvifico della croce, se ne andarono deluse urlando con voce ringhiosa che rimbalzò echeggiando sinistramente sui versanti del vallone «Ringrassié ch’i l ‘évi savù fé, àotriment la pasàvi...!».
I poveri montanari tremanti di paura si rinchiusero in casa giurando a se stessi che mai più avrebbero osato un’altra volta sfidare le masche do Grané(4).
Un’avventura simile capitò agli abitanti della Simma i quali sentivano pure loro, venerdì dopo venerdì, diffondersi nell’aria scura e silenziosa della notte il suono di una balada proveniente dal Grané: una volta osarono gridare «Oh, vo do Piän do Grané, alen cò sù no?».
In un attimo arrivarono alla Simma tutte le streghe che si misero a suonare e a ballare freneticamente mentre i montanari si nascondevano ovunque e non sapevano più quello che facevano.
La grande croce di legno che ancora oggi è infissa sul pianoro pare sia stata alzata a difesa degli alpigiani del luogo che non vollero si ripetesse un’altra volta un accaddimento simile(5).

Tratto da “I luoghi delle certezze – La sacralizzazione del territorio nelle Valli di Lanzo“, di Piercarlo Jorio e Ariela Robetto edito dalla Società Storica delle Valli di Lanzo (Lanzo Torinese, 2003).

5 pensieri riguardo “Dove i santi incontrano le masche

  1. Oggi sembrano “storie fantastiche”, ma sicuramente c’è una grande percentuale di verità.
    Bellissimo racconto!
    Anche le foto raccontano la vita di una volta su quei monti. (sotto quell’arcata di venerdì notte, avresti pernottato?)

    rok 64

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    1. Assolutemente no!
      Comunque, credimi: attraversando certi luoghi, come la Madonna del Truc, percepisci qualcosa di magico, sensazioni che non riesci a razionalizzare, come se attivassero dimensioni del percepire non decodificabili con il linguaggio.
      Sembra che il tempo si fermi.

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