Ho “scoperto” casualmente, cercando in internet notizie sulle Valli di Lanzo, il blog dei camosci bianchi. Sono della zona, o meglio del ciriacese, quindi una “valligiana” fin da bambina, abituata a frequentare questi luoghi montani a noi così vicini, eppure in molta parte sconosciuti. Per me in particolare la montagna è un’eredità che mi ha lasciato mio padre. Sono cose di cui ti rendi conto solo nella maturità. Mio padre Michele (classe 1924) è stato da giovane un alpinista. Ha scalato tutte le montagne delle nostre valli, ed anche oltre confine. Quando ero piccola, mi raccontava spesso di questa sua passione, della bellezza della roccia e della neve, del sentirsi un tutt’uno con la montagna quando raggiungi la cima e ti senti perduto dentro quella vista spettacolare. Spesso lo coglievo, solitario, a guardare la corona delle montagne dal balcone di casa nostra, in silenzio, immerso nei suoi pensieri ma sereno e, appoggiandomi una mano sulla spalla, mi diceva: “guarda che spettacolo!”. Io ascoltavo, guardavo i monti, mi piacevano, ma solo da adulta, nell’età in cui ti ritrovi ad avere un po’ più di tempo per te, ma soprattutto dopo la perdita, avvenuta ormai nove anni fa, di mio padre, ho risentito e vissuto anche come emozione, le sue parole. E dentro di me è nata pian piano, in sordina, un’esigenza, quella di ripercorrere un po’ per volta le strade percorse da mio padre in queste valli, per ritrovare quella parte di lui che io non avevo conosciuto.
Quando eravamo bambini, i miei genitori ci portavano abitualmente nelle Valli di Lanzo per i classici pic nic a base di panini al prosciutto, insalate di pomodori e la Simmenthal. Coperta di lana a quadri sull’erba e poi corse nei prati e escursioni nei boschi. Ogni volta ci insegnava il nome delle montagne che ci circondavano. Abbiamo frequentato un po’ tutte le zone, dalle montagne di Corio, a quelle di Viù, passando per Groscavallo (il famoso uovo di cemento che non mancavamo mai di andare a vedere), e poi Malciaussia con l’immancabile scottatura… le prime lezioni di sci a Balme con gli scarponi con i lacci e, solo più tardi, a Pian Benot. Poi, la vita, con il suo turbinio, studi, lavoro, matrimonio, figli ecc.. mi ha un po’ allontanata dalla montagna ma in me è rimasto lì nascosto, acquattato, un senso di appartenenza che, molti anni dopo, avrebbe dato in parte anche una svolta alla mia vita.
Ho cercato, insieme a mio marito, di trasmettere ai miei figli questo legame. Non so se ci sono riuscita. Probabilmente, (me lo auguro) anche loro capiranno col tempo il perchè di questa mia passione e di questo legame forte che ho con la montagna. Negli anni più caotici ho comunque frequentato il CAI con tutta la famiglia, fin che è stato possibile (cioè fin che i figli ci hanno seguito) poi, mio malgrado, sono stata costretta da situazioni contingenti ad abbandonare anche questo contatto. Per anni la montagna è stata messa da parte, ma, come ho accennato all’inizio di questi miei ricordi, ad un certo punto, quando ormai i figli avevano fatto le loro scelte e il lavoro non rappresentava più un impegno così pressante ed importante (per me) come in gioventù, ho iniziato a sentire una inquietudine interna, un “rifiuto” verso questa società che monetizza tutto a scapito dei valori più antichi, quelli della fatica e della perseveranza per raggiungere la propria meta, non solo in senso di “escursioni”.
Vivevo male, sentivo che avevo bisogno di qualcosa che mi desse una nuova vitalità, che mi desse emozioni, mi sentivo come “monca” di una qualche parte di me stessa. Ma cos’era che mi mancava? Mi ci è voluto un po’ per capire cosa potesse darmi quella pace interiore. E, come spesso accade in situazioni simili, è stato qualcosa di inaspettato. Casualmente una domenica siamo stati dalle parti di Chialamberto, dove, in una delle frazioni alte, dei nostri amici avevano rimesso “a posto” una baita. Così, su due piedi, abbiamo deciso di andare a trovarli. Era inverno, intorno all’8 dicembre del 2008. Quando siamo arrivati, mi si è parata davanti agli occhi una vista incredibile, le Levanne innevate, in basso la Val Grande con la sinuosa Stura e di fronte Santa Cristina. Essendo inverno (stagione che amo più di tutte) il panorama era anche molto libero, senza tutte le fronde degli alberi. Per me è stato come se improvvisamente si sciogliesse il groppo che avevo dentro da tanto tempo, quella vista aveva inaspettatamente lenito la mia ansia interiore e aperto gli occhi. Ecco di cosa avevo bisogno per star bene, dovevo trovare un luogo in cui poter vivere le stagioni, nel senso più vero, senza “inquinamenti”, lasciandomi cullare dal ritmo della natura immergendomi completamente in essa per poter ritrovare l’essenza dell’uomo, quella parte vera di noi, ancestrale, che tutti abbiamo ma non riconosciamo più perchè soffocati dalla società commerciale in cui siamo costretti a vivere. Un luogo da dedicare a mio padre, che lo rappresentasse e lo ricordasse in un modo che sicuramente lo avrebbe fatto stare bene.
Leggendo il post proprio sulle frazioni di Chialamberto, ho colto nelle parole quello che realmente è anche il mio pensiero, cioè una montagna vera e non solo commerciale, dove non si dica: “Siamo andati in montagna” e questo significhi essere saliti in macchina (meglio se un fuoristrada) davanti a casa, per poi scendere davanti al rifugio, mangiare la polenta concia e poi risalire in macchina verso casa. Certo, la montagna vive anche di commercio, ma non è così che si vive la montagna. La montagna è quella dei sentieri che non ci sono più, quella delle borgate che stanno cadendo a pezzi. Borgate dove si poteva ancora trovare la traccia del passato, con i frantoi e la macina in pietra per fare l’olio di noci o i torchi per fare rocchetti per il filo e bottoni di legno che, defraudate degli utensili ancora presenti (magari per esporli nel proprio giardino..), sono oggi cumuli di rovine. Prati dove una volta si portava il bestiame al pascolo ed ora sono boschi disordinati, invasi dal sottobosco.
Le Valli di Lanzo hanno un patrimonio nascosto, che non è assolutamente valorizzato, causa la “cecità” dei politici che le amministrano. Sicuramente, oggi, è anche una questione di “fondi” che mancano, ma, a mio avviso si fa anche molto poco per usufruire delle possibilità che ci sarebbero per rimediare agli errori (ed orrori) dei decenni passati. Manca l’interesse a riprendersi quello che una volta era un patrimonio di tutti. Qualcosa, lentamente, tra le persone sta cambiando, ma siamo ancora lontani dal far capire che non è necessario arrivare dappertutto con le auto. Certo è più comodo, ma fare alcune centinaia di metri a piedi, non ha mai ammazzato nessuno. Pazienza se la “spesa” è pesante, se piove e ci si bagna, i nostri nonni hanno fatto tutto senza mezzi e anche se usurati dalla fatica, non hanno perso la serenità, vivendo magari più di quello che vivremo noi “civilizzati”.
Adesso, dopo molte ricerche abbiamo trovato una baita da ristrutturare, è immersa nella natura, con uno sguardo spazioso sulla Val Grande e la Val d’Ala. Anche lì ci sono sentieri lasciati andare, con segni bianchi e rossi sugli alberi che stanno sbiadendo. Alberi caduti che interrompono il percorso, baite pericolanti. Appena la baita sarà agibile, mi dedicherò, per quanto possibile, al ripristino di questi luoghi. Nel frattempo c’è già da fare per mantenere in ordine i sentieri vicini, pulire le sponde per incanalare l’acqua ed evitare danni alle strade. C’è ancora molto da fare e pazienza se tutti, ma proprio tutti, mi hanno dato della pazza per aver fatto alla mia età, questa scelta, quella di impegnarsi ancora in un’ultima fatica, se il Signore lo concederà, per amore di una tradizione e di un insegnamento, che speriamo sia raccolto dai nostri figli quando, anche per loro, arriverà il tempo della consapevolezza. Per noi sarà sicuramente una fatica non da poco. Non siamo “i cittadini” che vengono in montagna perchè è di moda, siamo persone semplici che hanno deciso di portare avanti un progetto difficile sotto tutti i punti di vista con l’intento, seppur limitato, di contribuire a mantenere in vita non solo una borgata, ma molto di più, anche il ricordo e un’eredità spirituale dei nostri padri, dei nostri nonni, un modo per mantenere in vita qualcosa che li rappresenti e che sarebbe da loro sicuramente amato e rispettato.
Potrò forse apparire come una persona ingenua, ma la vita mi ha insegnato che parlare con il cuore alle persone è sempre meglio che fare calcoli. Questo scritto è un’emozione che mi è scaturita dal cuore dopo aver letto e visto le fotografie dell’articolo sulle frazioni di Chialamberto. Oggi poi, sono stata ad Usseglio e porto ancora dentro la bellissima fotografia delle vette rocciose e dei piccoli nevai che ancora si vedono tra i canaloni delle cime che la circondano. Stupendo.
Vi prego di accettare questo post per quello che è, un lungo racconto che desidero condividere con chi ha sensibilità verso la montagna più vera, la nostra montagna. Vi ringrazio fin d’ora per la pazienza che avrete avuto nel leggere queste mie parole.
Che dire, bellissimo post, venuto dal cuore da una persona che ama la “M”ontagna vera, non quella che ha la neve firmata stile Cortina.
Ascoltare il silenzio delle montagne, il verde e l’azzurro che solo se li guardi con il cuore, riuscirai a vedere quello che normalmente non si vede.
Anch’io amo Chialamberto e più precisamente Vonzo, tanto che arrivo da Padova per nascondermi in una terra a me originaria.
Ho messo la faccia per difendere quei territori primordiali (Vassola), grandemente aiutati dai Camosci Bianchi, e da “Beppeley e Serpillo” che sono fantastici per la difesa di un territorio troppo frequentemente depredato.
Speriamo che come te, ci siano molte persone che amano questi monti, questi monti meritano amore e rispetto.
Buon tutto!
Rok 64
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Benvenuta Verglas!
Sono contenta che, insieme alle tue scelte a volte impopolari, hai deciso di scrivere su questo blog.
Il tuo post l’ho letto tutto in un fiato e mi ha commossa ed emozionato.
La tua voce non può che fare del bene alla “Montagna”, continua così.
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Luoghi in attesa…Sei straordinaria,un racconto pieno di emozioni un’appartenenza antica che torna con tutta la sua forza dell’anima e del cuore, ricordi che scavano la tua profondità dell’essere in simbiosi con un mondo da troppi dimenticato non rispettato. Il denaro prevale sulla vita, una lotta tra la stupidità dell’uomo e l’essere uomo con tutte le sue essenzialità vere semplici. Ci basta poco per vivere bene abbiamo perso il senso del giusto inseguendo falsi miti. Sprechiamo risorse preziose siamo avidi moriamo di malattie perchè stiamo profanando gli equilibri della natura.Inseguiamo la superiorità dell’uomo sull’uomo. Non si sogna più di celo di sole….di prati immensi di alberi pieni di frutta di mietitura in cui gli uomini sui campi mietevano il grano cantando dichiarazioni d’amore alla loro bella di pranzi che le donne con le ceste in testa portavano ai mietitori. La sera un’atmosfera incantata a sfogliare granturco e ancora cantare con la luna alta nel cielo..Di uova rubate nel pollaio massima goduria per noi bambini…Emozioni ci rimangono dentro come tatuaggi scolpiti nel cuore indelebili forti ..tornano…tornano ..tornano,per chi li ha vissuti sono riserva di vita straordinarie …anime solitarie in mezzo a sabbie mobili. Voglio essere ottimista non smetterò di credere che l’uomo lasci la zavorra che si è costruito e torni ad essere appartenenza vera autentica essenziale di questa terra che ci ha dato la vita e tutto ciò che a noi serve ed essere custodi di un mondo che ci appartiene e ci apparterrà finchè avremo la capacità di amarlo…di un amore universale….il tuo post mi ha emozionato.
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Benvenuta anche da parte mia, Verglas! Stupendo post che anche io ho letto con attenzione e tutto d’un fiato!
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Benvenuta tra i camosci Verglas.Condivido pienamente i tuoi pensieri e sentimenti nei riguardi della montagna e della natura. Come avrai constatato di persona, queste valli hanno avuto, hanno ed avranno bisogno di gente come te che alza la voce in mezzo all’indifferenza generale.
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Grazie a tutti per l’apprezzamento. Sono certa che ci comprenderemo molto bene. Abbiamo un “comune sentire” nei confronti della montagna ed in particolare delle nostre Valli di Lanzo. Forse ciò è anche dovuto alla fortuna che abbiamo avuto (immagino sia così), di poter crescere e vivere la nostra infanzia in un ‘epoca in cui i bambini potevano stare a contatto con la natura, giocando e divertendosi con ciò che essa metteva a disposizione. Non per scelta, ma perché era l’unico modo di divertimento. Ora questa “impronta” dà i suoi frutti. Scriverò ogni qualvolta il cuore mi spinga a farlo, sia per impulsi di gioia come anche di contrarietà o tristezza. Non prometto grandi e numerosi “post”, la scrittura non è il mio mestiere, solo pensieri che prenderanno vita nelle parole quando sentirò la necessità di condividere con tutti coloro che per scelta o per caso (come è capitato a me), si troveranno a leggere il blog di questo sito.
Da qui, un augurio a tutti noi..
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Il tuo è un post speciale pieno di vissuti in cui noi possiamo riconoscerci: ricordi…insegnamenti… emozioni immense ..ritorno alle proprie origini…cura amorevole dei luoghi e…desiderio che i figli/le generazioni future amino i nostri ideali.
E poi, è bello percepire come la montagna chiami ed accolga chi sa leggerla ed ascoltarla così come hai fatto tu.
Grazie Verglas ed anche a voi, Beppe e Serpillo.
Meravigliose le foto!!!
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Grazie a te Lisa.
E’ un piacere leggerti anche qui, oltre che su Twitter.
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Un saluto affettuoso al nuovo camoscio amante del ghiaccio e dell’inverno!
Un grazie per averci ricordato come sia necessario approcciarsi alla montagna: con umiltà, con semplicità, in punta di piedi, riconoscendola come una Grande Madre colma di bellezza, ma severa e priva di perdono nei confronti delle nostre goffaggini e del desiderio di strapotere.
Personalmente ho tanta nostalgia delle “villeggiature” degli anni Cinquanta-Sessanta, quando la montagna era intatta, i montanari poveri, sobri e grandemente dignitosi, noi semplici, forse anche ingenui, in grado di apprezzare la purezza del poco. Mi si obietterà: “Nostalgie di vecchia signora!”
Ebbene, sì. Nelle Valli di Lanzo trascorrevamo le nostre vacanze, chi proprio era ricco si spingeva al mare della Liguria. Non avevamo velleità di raggiungere mete esotiche, tanto sapevamo sin da allora che, per conoscere un paese, bisogna viverci, “mangiare” la sua terra e la sua gente, non passare giornate al Club Mediterranée dedicandosi a giochi scemi.
Affittavamo casette di pietra senza il bagno, non frequentabili nella cattiva stagione perché il padrone di casa toglieva l’acqua corrente affinché non gelasse nei tubi; noi ci rifornivamo alla fontana del paese. Quando raggiungevamo una cima (e non spendevamo sicuramente capitali per abbigliamento tecnico), lanciavamo segnali con lo specchietto puntato verso il sole.
So benissimo che il passato -giustamente- non ritorna, il mondo cambia, ma domandiamoci :”Come cambia? Cosa comportano questi cambiamenti? Il nuovo è sempre il meglio?”
Ora abbiamo bisogno che gli stranieri ci insegnino come vivere la montagna; come sempre, da italiani che non hanno imparato nulla dalla storia, speriamo nello straniero affinché cambi in meglio le nostre Valli. Noi aspettiamo. Aspettiamo sempre e, soffregandoci le mani nascostamente nella speranza del buon affare a basso costo, guardiamo intorno per vedere cosa succede.
Coraggio, rimbocchiamoci le maniche come ha fatto Verglas (e Dio solo sa quanto sta lavorando per amore di questa terra), lasciamo i viaggi mirabolanti, ritorniamo in queste Valli del disamore, pur tuttavia tanto amate. Se solo scomparissero un po’ di cartelli con su scritto “Affittasi”, già sarebbe compiuto un gran passo avanti.
Grazie Verglas. Un abbraccio
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Rinnovo i ringraziamenti ai nuovi lettori del post che hanno lasciato un commento. Non può che farmi piacere.. e rafforzare le mie convinzioni. Le parole di tutti voi arricchiscono comunque anche me . Ciascuno ha espresso, in modo personale e diverso, gli stessi concetti e le stesse considerazioni che avrei potuto fare io stessa. Ciascuno vede veramente la montagna con i propri occhi e con la propria sensibilità, ma, alla fine, giungiamo tutti quanti alla stessa conclusione. Pur rammaricandoci per la situazione attuale delle Valli di Lanzo, che faticano a trovare in chi li amministra e anche tra i suoi abitanti, spinte emotive forti che facciano riemergere l’orgoglio di appartenere, vivere, condividere, possedere ( e moltissimi altri verbi, ciascuno trovi il suo..) ad un territorio ricco di storia e autentico, non riusciamo a staccarcene. E’ un amore innato che ci portiamo dentro, dobbiamo solo lasciarlo emergere e, quando le idee e i sentimenti sono condivisi ciò è più facile..
Un ringraziamento particolare lo devo ad Ariela e Beppe. Se sono qui a scrivere, lo devo soltanto a loro. In tempi e modi diversi entrambi mi hanno aiutata ad uscire dalla mia individualità dandomi il coraggio di lanciarmi in questa nuova esperienza. Ciascuno di noi sarà per gli altri, il “carburante” che fornirà energia pulita per portare avanti questo blog tutti insieme.
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Visto che ci siamo conosciuti grazie alla Società Storica delle Valli di Lanzo, e questo vale anche per la cara Ariela, rubo qualche pensiero del suo Presidente Bruno Maria Guglielmotto-Ravet (prefazione al volume n. C) per ringraziarti della tua volontà a resistere, ad esserci, a costruire, a comunicare, a vivere e a progettare sulle Alpi:
“[…] Il territorio delle Valli di Lanzo è conosciuto dai più. Tanti vi hanno passato la villeggiatura, anche solo per brevi periodi. Ma, mi diceva Margherita Oggero che negli anni Cinquanta andava in vacanza a Chialamberto, la “montagna perde gli affetti”. E’ vero, le Valli non hanno saputo mantenere i legami creati nel periodo del Novecento, costruito sulla fidelizzazione luogo-montanaro-cittadino. Ora, come dopo la guerra, si tratta di ricostruire. […]”
Sono certo che grazie a te queste montagne hanno ritrovato un grande affetto.
E’ soprattutto di questo che hanno bisogno le Valli di Lanzo.
Grazie.
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Complimenti per le belle parole e i pensieri profondi. A presto per qualche passo assieme – vero Beppe? Bentrovata
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Certamente, mi fa molto piacere e sono sicuro che anche Verglas sarà contenta.
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Grazie “ventefioca”, ci tengo moltissimo a “scarpinare” con altri camosci e commentare insieme ciò che la montagna ci suggerirà..
Un saluto a Beppe.
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