“Le strade parlano alle macchine. I sentieri all’uomo.“
Le ruspe avanzano con la stradizazzione forzata ma noi continuiamo a cercare gli antichi sentieri. E non importa se sono ridotti a brandelli, feriti e malconci da chi vuole soldi facili. Fintantoché potremo camminare, i sentieri non moriranno.
Resistiamo alle finte piste agro-silvo-pastorali che non portano in nessun luogo, che rendono anonima la montagna annientandone storia e cultura.
In una domenica di fine novembre desideriamo immergerci nello stupefacente Vallone di Crosiasse, in Val d’Ala, la mediana delle Valli di Lanzo (To), graffiato dalla caparbietà dei vecchi montanari e odorante della fatica di antichi minatori che con sapere celtico hanno edificato le montagne delle Valli di Lanzo.
Dal vecchio borgo di Bracchiello (843 m) – dove finisce l’asfalto e comincia la montagna – resistiamo ad una pista spaesante, che con tanto di cartello ufficiale Cai-Regione Piemonte ti invita a cominciare un’anonima escursione, per percorrere invece l’antico sentiero che passa tra i viottoli delle baite e tra i rovi dell’indifferenza e della resa culturale. Scelta azzeccata perché avremo la fortuna di incontrare Cristina, splendida montanara che resiste a tutto. Ci chiede come mai non facciamo la pista. Le rispondiamo che a noi piace moltissimo attraversare le baite dei borghi di montagna, incontrare chi ci vive, osservarne le architetture e immaginare come si viveva un tempo e che soprattutto amiamo i sentieri, i vecchi percorsi dei montanari che con la loro inventiva ci consentono ancora di camminare. Ci risponderà che “in effetti il sentiero era tutta un’altra cosa, poi sono arrivate le draghe a smembrarlo“. Sono tanto stupito da quella sua risposta e del fatto che con noi abbia sciolto facilmente la proverbiale diffidenza valligiana verso i forestieri.
Superiamo le case e ci troviamo a zigzagare tra i rovi. In breve finiamo con i piedi sulla pista, che aggira il borgo allungando e banalizzando il tragitto, e continuiamo con la resistenza. Di fronte a noi un vecchio, sommesso ed esausto bollo rosso ci segnala un sentiero ripido che si inerpica sulla montagna verso nord. Quella è la nostra via. Apriamo la carta e con grande gioia scopriamo che Fraternali l’ha indicata, anche lui con lodevole sentimento di viva resistenza verso le incursioni omologanti dei bulldozer. Dopo pochi minuti di marcia, disturbata dai rovi e dalle infinite foglie che rendono viscida la traccia, incrociamo nuovamente la pista. Non è stato agevole ma almeno abbiamo fatto il percorso più diretto e breve voluto dagli antichi montanari.
Un breve tratto inevitabile di pista ci proietta nel sentierino che ci condurrà nello stretto solco del Vallone di Crosiasse che seguiremo fino a quando, dopo essersi aperto come un fiore al sole, non toccheremo il Colle omonimo (1809 m) con ormai gli immancabili segni arancioni di altre prossime strade. Al ritorno, prima di entrare in Bracchiello, desideriamo determinare la differenza in lunghezza e il tempo di percorrenza tra la sterrata e i pezzetti di sentiero. Attiviamo i gps e ci dividiamo. La pista risulterà lunga 600 metri contro i 200 del brandello di sentiero. Ben il 30 per cento in più il tempo di percorrenza (insignificante su percorrenze così brevi, ma, per chi ama l’escursionismo, assolutamente inaccettabile su percorsi più lunghi).
La nostra escursione, immersi nel suo tempo liberato, non finisce qui: Cristina ci viene incontro invitandoci a vedere la stalla con le sue vacche piemontesi. Felici come una Pasqua facciamo qualche foto, due chiacchiere e poi conosciamo anche Giovanni, il figlio, che rientra con le pecore dal pascolo. Gioiosi di questa inaspettata conoscenza, pensiamo di aver avuto ragione col nostro sentimento di resistenza. Percorriamo sentieri e incontriamo montanari. Se avessimo scelto la pista che puzza di orizzonte metropolitano, avremmo mancato, imperdonabilmente, di incontrare Cristina e Giovanni. Sento che loro sono contenti di vedere ancora qualcuno che passa tra i silenzi abissali delle montagne delle Valli di Lanzo e di poter scambiare due parole vincendo la balorda indifferenza dei creatori di nonluoghi. Questi silenzi sono duri ma genuini e nutrienti come nessuna cosa al mondo. Non finisce qui perché Cristina ci chiede se vogliamo assaggiare la sua toma. Non esito a chiederle se possiamo acquistarla, con tutti i profumi del Vallone di Crosiasse.
“Non la vendiamo, la doniamo solo agli amici“.
Entra in casa e poi esce con un pezzo esagerato di toma.
“E’ per voi, che siete un po’ dei nostri“.
Dei nostri… Rimango attonito ma poi chiedo subito quanto devo.
“Niente, te l’ho detto, non la vendiamo“.
Insisto più che posso per pagarla perché non è un assaggio, saranno almeno tre etti! Purtroppo non riesco a spuntarla.
“Vi piace il burro?“.
Maledette piste.
In un nebbioso sabato di metà aprile incrociamo Stefano mentre cerca a fatica di raggiungere a piedi la sua baita di Benne, misterioso toponimo celtico. Ha entrambe le mani impegnate a trasportare quanto necessario per sopravvivere qualche giorno ai piedi del Bec di Roci Ruta, in Val Grande di Lanzo. Ha mollato l’auto nell’incantevole borgo di pietra degli Alboni (1384 m), dove finisce l’asfalto e comincia la montagna degli esseri umani, quelli che credono che camminare sia ancora un gesto di enorme rispetto verso se stessi e verso chi ha donato il patrimonio della montagna. Insieme faremo il breve tragitto su sentiero che si dirige verso la Mea, dove Alpi e alpinismo si fondono disegnando incantevoli paesaggi. Sappiamo già che subito dopo Benne dovremo seguire la sterrata che Groscavallo ha voluto realizzare grazie ai fondi del PSR distribuiti dalla Regione Piemonte. E’ il ramo inferiore della oramai famosa pista di Pera Berghina – 4 chilometri e 320mila euro di nonluoghi – che ha disintegrato il vecchio sentiero che partiva dai Rivotti e ricoperto il tratto di quello originario che congiungeva Benne (1480 m) con la Mea (1526 m).
Mentre marciamo racconto a Stefano che questa pista balorda non solo ha spezzato l’antico percorso che arriva da Alboni ma ha anche fratturato il bellissimo giro escursionistico ad anello che parte dalla borgata Bonzo (975 m), situato nel fondovalle, per poi attraversare Alboni e Mea, con rientro sul sentiero 322A solcando così altri bellissimi paesaggi, assolutamente differenti rispetto a quelli modellati dai vecchi montanari sul ramo del sentiero in salita. Insomma, un gioiello escursionistico da valorizzare e non da smembrare.
Stefano è al corrente della pista e molto contrariato di quanto abbia devastato sebbene lui possa trarne qualche vantaggio essendo la sua baita in prossimità della sterrata. Gli racconto che in precedenti escursioni ho osservato attentamente a valle della pista e ho notato che si può agevolmente rintracciare un sentiero, sia perché la pendenza del versante è modesta e sia perché il bosco non risulta particolarmente chiuso e sporco. Lui è molto d’accordo. Veniamo anche a sapere che i tre quarti del bosco sono suoi e quindi non ci sono problemi per posizionare la segnaletica orizzontale. Il restante quarto è di un valligiano che ha una ditta dalle parti di Ceres e a cui si può provare a chiedere se è contrario.
Stefano si dimostra molto contento della nostra idea e ci dice che appena ha un po’ di tempo proverà a percorrere il bosco per pulirlo di eventuali rami o tronchi che potrebbero ostacolare il cammino. Sono entusiasta e gli dico che avviserò il Cai di Lanzo, così operoso e attento nel recuperare i sentieri, visto che tra l’altro non si tratta di un tragitto lungo. Saranno circa 400 metri che sicuramente non richiederanno un lavoro impegnativo e nemmeno molte forze in campo. Per informare gli escursionisti che arrivano a Benne da Alboni, e quelli che arrivano da Mea, basterà piazzare due cartelli indicatori e così il sentiero, che si immerge in boschi incantevoli, può tornare in vita facendo evitare la triste pista.
Siamo fiduciosi. Al rientro dall’escursione nel parlo subito con un membro della Commissione sentieri del Cai di Lanzo che mi rassicura sulla possibilità di organizzare un sopralluogo coinvolgendo anche il presidente. Stiamo inoltrandoci nella primavera, poi ci sarà l’estate… Queste stagioni ci potranno regalare sicuramente qualche occasione per tentare di rianimare il giro ad anello, non interrompendo così il percorso del sentiero storico ormai distrutto dai caterpillar sguinzagliati brutalmente da Groscavallo, con totale spregio verso le esigenze degli escursionisti.
Passeranno i mesi ma la nostra idea non avrà alcun riscontro da parte del Cai. Possibile che nell’opera sistematica di distruzione dei sentieri storici non si possa sperare almeno di riparare i danni, ove possibile? Non possiamo permetterci una legge costituzionale a difesa dei sentieri, come ha la Svizzera, ma tentare di mettere almeno qualche cerotto, è davvero improponibile?
E’ un dicembre molto tiepido quello che ci fa vivere la festa dell’Immacolata. A fine novembre sulle Alpi Occidentali la neve è caduta abbondante sopra i 2000 metri e oggi non vogliamo andare a cercarcela, anche perché le condizioni meteo dei giorni scorsi possono aver lasciato un manto nevoso di difficile interpretazione, soprattutto alle quote più basse.
Sentiamo il bisogno di vivere spazi di tempo liberato, senza programmare alcunché, né orario di partenza e né quello di rientro. Dobbiamo semplificare e allora rovisto nella mia mente alla ricerca di un percorso tranquillo, senza particolari pericoli oggettivi da affrontare. La giornata è splendida e invita a godere di paesaggi alpini autentici. Decidiamo allora di fare l’anello escursionistico Bonzo – Alboni – Mea – Bonzo in Val Grande e mentre arranchiamo verso Alboni, costantemente accompagnati dai commuoventi manufatti degli antichi montanari, penso a Cristina di Bracchiello a cui ci siamo uniti idealmente nella sua resistenza affinché la cultura della montagna non venga definitivamente seppellita. Mi viene in mente quel tratto di sentiero annientato dalla pista di Pera Berghina e dall’incomprensibile silenzio da parte del Cai di Lanzo verso un possibile ripristino; basterebbe fare un sopralluogo e poi trovare la piccola somma necessaria per fare un paio di cartelli, uno a Benne e l’altro a Mea, per segnalare agli escursionisti la giusta via, evitando la pista forestale. Per i bolli bianco-rossi non ci sarebbe alcun problema perché potremmo farli noi.
Lungo la deliziosa mulattiera (n. 322 al catasto del patrimonio escursionistico piemontese), con la modalità “tempo liberato”, mi viene in mente un’idea: provare da soli a ritrovare il sentiero a valle della pista di Pera Berghina, quella traccia che con Stefano eravamo rimasti d’accordo di riaprire per restituire la montagna a noi escursionisti motorizzati di soli scarponi.
Raggiunto il meraviglioso paesino degli Alboni, Sabrina e Livio – appena conosciuti – ci accolgono con grande ospitalità offrendoci la colazione. Ci invitano pure per il pranzo ma noi abbiamo la nostra missione in testa e così siamo costretti, purtroppo, a declinare l’invito per continuare verso Benne con la precisa intenzione poi di non seguire la pista ma di entrare nel bosco e fare col gps una traccia affinché nasca una via che sento, con estrema convinzione, che ci sta aspettando. Lo vogliamo con tutto il nostro amore per queste Valli e per tutti coloro – innumerevoli nel mondo – che amano il sentiero inteso come infrastruttura minima ed essenziale per ascoltare, a passo lento, le narrazioni delle montagne.
Appena raggiunto il paesaggio superbo di Benne – due baite in pietra perfettamente ristrutturate incastonate sotto il profilo slanciato e severo del Bec di Roci Ruta – approntiamo la nostra strategia. Apriamo la carta, studiamo il percorso, tariamo gli altimetri e verifichiamo la direzione con la bussola. Infine attivo il gps. Serpillo andrà avanti a cercare il percorso migliore mentre io seguirò lo schermo del navigatore cercando anche di documentare il tutto con le foto. Alla nostra sinistra c’è l’imbocco della tristissima pista, in mezzo il grosso masso con il cartello in legno “Bënes” mentre noi siamo pronti ad andare verso destra, verso una direzione non segnalata da alcun cartello. Mentre infilo lo zaino noto che il camino della baita fuma vigorosamente. Ci sarà Stefano? Non faccio in tempo a dirlo che lo vediamo uscire e venirci incontro. Gli spieghiamo le nostre intenzioni ma lui ci sconsiglia di addentrarci perché potremmo trovare qualche difficoltà, soprattutto se andremo troppo a sud. Ma io non demordo, so che ce la possiamo fare.
“Ti ricordi che ci siamo già visti ad aprile?” gli dico.
“Sì, certo, ma pensavo che ci saremmo incontrati molto prima con il Cai di Lanzo; nel frattempo ho fatto un po’ di pulizia e messo degli ometti nel bosco. Si può raggiungere Mea senza problemi ed evitando la pista noiosa. Ma bisogna sapere dove passare“.
Lo convinciamo a venire con noi per guidarci lungo la via e fare così la traccia corretta col gps. In un amen ci addentriamo in quel fantastico bosco che già ci accolse prima degli smantellamenti culturali ad opera dei bulldozer.
Come mi immaginavo, il percorso è stupendo e non presenta alcuna difficoltà. Addirittura notiamo dietro di noi alcuni escursionisti che ci seguono. Stefano ha fatto un buon lavoro, tanto che troviamo degli ometti e… anche qualche bollo bianco-rosso! Ecco un pezzo del vecchio sentiero! La pista, per un breve tratto, non ha soppresso la traccia che il Cai aveva segnalato tempo addietro, prima dell’arrivo dei soldi dei PSR per le piste agro-silvo-pastorali.
Dispiaciuto e adirato come Achille penso a quanto sia facile e idiota lanciare delle ruspe per smantellare i vecchi sentieri e cacciare gli escursionisti che li amano. Mi domando se in questo Paese di scimmie sarebbe stato troppo civile e rispettoso, da parte del Comune di Groscavallo (ma anche da parte di tutti gli altri che dimostrano assoluta incapacità a gestire il territorio alpino), ricucire questo sentiero dopo averlo cancellato con i soldi del PSR. Troppo arguto prevedere nel progetto della maledetta pista anche il ripristino dell’antico tracciato, magari contattando il Cai di Lanzo che non vede l’ora di rimettere in piedi i sentieri?
Ora che Groscavallo è pronto a puntare le ruspe nel Vallone di Sea, nuovamente foraggiate dai PSR, come pensa di essere credibile verso un progetto costosissimo di recupero degli alpeggi – con annessa pista camionabile – se ha palesemente dimostrato di essere incapace di accogliere le esigenze di tutti i portatori di interesse verso la montagna evitando così la conflittualità?
Purtroppo la debolezza del Cai di Lanzo, incapace di opporsi con fermezza alle ruspe cariche di soldi che smantellano cultura e generano nonluoghi, non ha di certo aiutato Groscavallo a cercare soluzioni condivise per spendere la pioggia di soldi dei PSR.
Arrivati a Mea stoppo il gps e verifico i dati registrati: indica 500 metri circa di percorso su bellissimo sentiero senza pestare un solo metro di noiosa pista forestale. Circa 15 minuti di percorrenza.
Essendo la pista destinata a far transitare mezzi motorizzati per prendere il legname, e non certo a favorire l’escursionismo, che necessita di infrastrutture minime e sostenibili, come lo sono i sentieri costruiti dai montanari, sarebbe logico che il Comune di Groscavallo ripristinasse a sue spese 500 metri di sentiero che in parte è già esistente e segnalato. Acquistare un paio di cartelli (le frecce segnavia) e due barattoli di vernice non dovrebbe essere così compromettente per il bilancio di questo Comune che può permettersi spese ben più onerose.
Personalmente ritengo che Groscavallo, visto che giace su di un territorio alpino, come tutti gli altri comuni delle Valli di Lanzo, dovrebbe sapere perfettamente che tra i portatori di interesse verso la montagna ce n’è un gran numero – come gli escursionisti, alpinisti, biker, ecc. – che desidera fare attività che siano il più possibile sostenibili, sia verso l’ambiente e sia verso i costi necessari per praticarle. Molto odioso, inaccettabile ed assolutamente antistorico rifilare a queste categorie di fruitori una pista che è costata oltre 80.000 euro al Km (conteggiare anche altro denaro per la sua cara manutenzione) quando, prendendo ad esempio in considerazione l’escursionismo, per mantenere funzionante un sentiero – vero e proprio bene culturale – il costo si aggira soltanto sui 2.000 – 3.000 euro al Km! Nel caso dei 500 metri di sentiero smantellato da Groscavallo arriviamo a circa 1.000 – 1.500 euro per il suo ripristino.
La pista di Pera Berghina (quasi 4 Km di lunghezza che ha distrutto anche l’antico sentiero che partiva dai Rivotti) è un perfetto esempio di politica per la montagna inutile ed insostenibile attuata grazie alle nuove forme di assistenzialismo dei PSR, ovvero soldi distribuiti dalla Regione Piemonte che sono dei contribuenti europei. Purtroppo è doveroso segnalare che non sono solo i comuni a fare opere inutili, con pesanti danni collaterali, ma ci sono anche i privati che non si curano minimamente del valore del patrimonio che distruggono tali progetti (80% dei soldi li mette il PSR a fondo perduto), come lo dimostra il ramo superiore della pista di Pera Berghina (che finisce nel nulla), tuttora sotto inchiesta da parte della magistratura.
Tutto questo lo hanno ben compreso gli oltre 1200 firmatari della petizione “Da Sea a dove?“.
Il Sindaco di Groscavallo farebbe bene a dimettersi avendo dimostrato con il suo operato un’assoluta incapacità di gestire il proprio territorio alpino in modo sostenibile ignorando completamente tutta una serie di portatori di interesse (escursionisti in primis) che possono generare significative ricadute economiche. Lo dimostra quanto sta avvenendo nel Comune di Balme (alta Val d’Ala), grazie alla GTA – e alla recente delibera comunale pro escursionismo – e nel Comune di Corio (basse Valli di Lanzo) con l’Associazione Sentieri Alta Val Malone, giusto per rimanere esclusivamente nelle Valli di Lanzo.
Qui potete scaricare il file in gpx con la traccia registrata dal GPS relativa al tratto Benne – Mea
dovrebbero farvi un monumento a Voi due…
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Grazie Beppe.
Grazie per tutto quello che hai fatto.
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Grandissimi! Bravi! Grazie…. 🙂
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Grazie!
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Un articolo appassionato scritto da una persona che vuol cambiare in meglio almeno un po’ di questo mondo.
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Amore incondizionato per la montagna (ed in particolare per queste montagne), unito a passione che pare inesauribile, profonda conoscenza del territorio e perseveranza inattaccabile, generano questi risultati sorprendenti, che vanno a beneficio di tanti altri fruitori di questi luoghi.
Non possiamo che ringraziarvi per l’ammirevole lavoro (missione?) che costantemente e con entusiasmo portate avanti, sia materialmente che con iniziative su larga scala, per condividere con il maggior numero possibile di persone la realtà delle nostre Valli e formare così una coscienza ambientale responsabile.
Grazie Beppe e grazie Serpillo!
Verglas
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Grazie infinite Verglas, abbiamo bisogno di incoraggiamenti!
Colgo l’occasione per segnalarti un articolo de La Stampa uscito oggi con sondaggio (peccato che le “strade outdoor” della domanda sono camionabili… forse avrebbero dovuto passare da queste parti e verificare di cosa parla il PSR 2014 – 2020, quello a cui Groscavallo vorrebbe aspirare per costruire altri nonluoghi (https://it.wikipedia.org/wiki/Nonluogo):
http://www.lastampa.it/2016/12/15/cronaca/nel-vallone-di-sea-non-servono-strade-ma-il-vero-turismo-outdoor-wJQiunTEWzlItsXZYnIh8I/pagina.html
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La Stampa 15.12.16
IL PARERE DI MERCALLI
«Queste strade necessitano di una manutenzione imponente e in montagna ci sarebbe già tanto da fare con quello che c’è senza aprire nuovi fronti e investire risorse – ammette Luca Mercalli, metereologo e climatologo italiano -. Più che altro mi chiedo come mai si trovano sempre i fondi per muovere i bulldozer e gli escavatori e aprire cantieri e poi dopo, quando l’opera è realizzata, non ci sono mai i soldi per le manutenzioni o per gli imprevisti».
«Le Valli di Lanzo hanno un grande potenziale turistico, proprio perché sono rimaste selvagge e incontaminate – non nasconde Mercalli -. Molti alpinisti ed escursionisti cercano questo e non la perfezione di Svizzera o Alto Adige. Ma bisogna saperli accogliere e qui sta la vera scommessa».
http://www.lastampa.it/2016/12/15/cronaca/nel-vallone-di-sea-non-servono-strade-ma-il-vero-turismo-outdoor-wJQiunTEWzlItsXZYnIh8I/pagina.html
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Ragazzi, grazie per il vostro impegno. Sono figlia di un valligiano che ha “vissuto” queste montagne con Amore e Rispetto. Difendiamo il nostro territorio dalle furberie e dalle incompetenze. Resistere resistere resistere.
Marina Girardi
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Grazie Marina, gli incoraggiamenti sono fondamentali!
Oltre ai comportamenti da furbetti e alle incompetenze, trovo alquanto odioso riscontrare che diversi comuni montani siano infestati da soggetti che non vanno in montagna: conoscono giusto quello che vedono percorrendo le provinciali.
Un esempio per tutti: nel 2012 partecipo a questo convegno https://camoscibianchi.wordpress.com/2012/05/29/la-stregoneria-nelle-alpi-occidentali/
Durante la pausa caffé, contemplo la bellezza delle montagne che ci sono di fronte al villaggio di Saint-Denis (AO). Mi avvicino al sindaco e oso chiedergli:
“Mi scusi, mi dice per favore il nome delle montagne di fronte a noi?”
“Me lo dica lei che è del CAI! Guardi, posso solo dirle che laggiù, verso ovest, c’è il Gran Paradiso”.
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