L’ultima scena di un mito

Cresta di Bionnassay dal Rif. Gonella – versante S del Monte Bianco (foto di Alberto Cucatto)

«Nell’accingermi ad enumerare le imprese del Castagneri sento che sto per fare buona parte della storia alpinistica della Sezione Torinese; sono 25 anni di alpinismo schietto ed ardito che si compendiano nel suo nome e nei quali egli ebbe come guida la presidenza perpetua delle nostre escursioni; con lui si accompagnarono i fondatori del nostro Club e molti dei più noti ed arditi dei nostri colleghi.»

Guido Rey, 1890

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Un mito lo riconosci dall’uscita di scena e che la guida alpina di Balme Antonio Castagneri lo sia, nessuno lo mette in dubbio. Ma quale ultima scena ha fatto smarrire questo grandissimo alpinista delle Valli di Lanzo? Cosa ha potuto fermare le imprese di un personaggio così straordinario?

Metti insieme la roccia e il ghiaccio e cerca i migliori interpreti italiani di questi due terreni. E poi sogna la gloria sul Monte Bianco. Siamo alla fine del XIX secolo e la roccia si chiama Antonio Castagneri (Toni dei Tuni di Balme, villaggio dell’alta Val d’Ala) mentre il ghiaccio è Jean-Joseph Maquignaz. Il sogno lo fa il conte Umberto Scarampi di Villanova – socio del Cai Torino – nell’imminenza di sposarsi. Desidera lasciare la sua firma sul massiccio più alto d’Europa facendosi condurre da due tra le più forti ed esperte guide dell’epoca. Come se oggi mettessimo insieme Simone Moro e Steve House. Per fare cosa?

Antonio Castagneri

Castagneri e Maquignaz assieme erano considerati invincibili. Il primo aveva all’attivo ben 43 prime ascensioni mentre il secondo, tra le varie scalate, vantava la prima salita del Dente del Gigante (4014 m), vinto nel 1882, all’epoca considerata un’impresa straordinaria.
L’impresa, nell’agosto del 1890, la cerca il conte di Villanova, dopo aver saputo che il primo di quello stesso mese Bonin e Ratti (futuro papa Pio XI), con le guide Gadin e Proment, in discesa realizzarono la via che oggi è la normale italiana al Monte Bianco dal rifugio Gonella (costruito nel 1891), per la cresta di Bionnassay, dell’Aiguille Grises e il ramo occidentale del ghiacciaio del Dôme.

Castagneri e il conte di Villanova partirono da Torino il 16 agosto per raggiungere Châtillon dove avevano l’appuntamento con Jean-Joseph Maquignaz, per poi proseguire per Aosta e Courmayeur, base di partenza per compiere una grande ascensione. Durante l’attesa della guida, che doveva scendere dalla Valtournenche, incontrarono Guido Rey. Su questo incontro Rey, nel suo libro Il tempo che torna, scriverà:

«Il giorno 16 scendo a Ponte San Martino e di là in ferrovia a Châtillon. Qui appena entrato nell’albergo mi trovo innanzi visi di amici: è un collega del Club con una mia guida fidata di altre ascensioni. Ci facciamo un mondo di feste. Quella guida, nel vedermi qui, ha già fiutato il mio progetto (la cresta di Furggen al Cervino, N.d.A.): io cerco di dargli ad intendere che devo salire ad attaccare le corde al Cervino, per ordine del Club Alpino, ed altre storie, ma egli non crede, e, strizzandomi l’occhio e sorridendo, traccia col dito sulla mia spalla, come se fosse la spalla del Cervino, una via immaginaria che mi dà la certezza che egli ha capito tutto. Ben inteso, io continuo a negare, poiché non c’è mentitore più cocciuto di un alpinista il quale mediti un’impresa nuova

Jean-Joseph Maquignaz

Nulla trapela da Toni dei Tuni e dal suo cliente sul loro progetto. Quale via hanno in mente per toccare il Monte Bianco? Le scarne tracce che verranno rinvenute durante le lunghe ricerche dei soccorritori, proprio nei pressi ove sorgerà il rifugio Gonella, fanno pensare che la comitiva avesse proprio l’intenzione di ripetere in salita la via di Ratti, ora conosciuta come via del Papa.
Anche Agostino Ferrari in Nella catena del Monte Bianco, raccontando della sua ascensione del 1895 al Re delle Alpi, in una nota scrive:

«Vuolsi che da questa cresta (di Bionnassay, N.d.A.) sia precipitata la comitiva del conte U. di Villanova colle guide Antonio Castagneri e G. G. Maquignaz, la quale, ignara della presenza della cornice che allora orlava la cresta e accecata dalla bufera, proseguiva inconscia su questo spigolo, la cui cornice franava sotto il peso di tre persone

Mi sono spesso chiesto quale forza della natura abbia potuto sconfiggere uomini abituati a sopportare immani fatiche e privazioni durante le loro scalate, con ogni tempo. Se oggi chiedessimo ad un Messner quante volte ha dovuto subire la violenza degli eventi meteo, probabilmente ci risponderebbe centinaia di volte. Tralasciando le differenze di attrezzatura ed equipaggiamento rispetto a quelle di Toni dei Tuni, di certo stiamo parlando di uomini eccezionali, capaci di avanzare e sopravvivere alle peggiori bufere, a maggior ragione se ci aggiungiamo anche la responsabilità verso i loro clienti. E tutto questo veniva affrontato senza disporre di previsioni meteorologiche.

E’ solo di fine aprile scorso la triste notizia della scomparsa della guida alpina Mario Castiglioni e di sei suoi clienti, durante la traversata scialpinistica Chamonix-Zermatt, a 3500 metri di quota, a causa di una tempesta con raffiche di vento ad oltre 80 km/h.

Cosa significa avanzare sopra i 3000 metri di quota con venti di tale intensità?

Castagneri, Maquignaz e il conte di Villanova vengono visti per l’ultima volta dall’albergatore della Cantina della Visaille, in Val Veny, alle 3.30 del mattino di lunedì 18 agosto, poco prima di inoltrarsi nella cupa notte, accompagnati dal dondolio della luce della lanterna. Da quel preciso momento di loro non si saprà più nulla, nessuno li incontrerà. Non c’è anima viva nei dintorni, a parte un gruppo di alpinisti al Rifugio Sella ai Rochers del Monte Bianco che racconteranno che alle 14:45 del 18 agosto il tempo era già cattivo e alle 17 peggiorò ancora; alle 21 scoppiò una violenta tempesta che durò tutta la notte togliendo ogni speranza di ascensione per il giorno dopo (19 agosto).

Dove si trovava la nostra comitiva alle 21 del 18 agosto? Stavano rientrando dalla vetta del Bianco per la via di Ratti, percorrendo l’affilata cresta di Bionnassay? Oppure erano diretti alla capanna Vallot per ripararsi dalla bufera?

La linea rossa (cliccare sopra per ingrandire) è la via normale italiana al Monte Bianco (via del Papa) dal rifugio Gonella (traccia gps del 2013). Mappa tratta dal sito https://map.geo.admin.ch/ della Confederazione Svizzera

Oggi la salita al Monte Bianco, lungo la via normale italiana, senza tenere conto del rifugio Gonella, che allora non c’era, richiede più di 16 ore se tutto fila liscio (6 ore dalla Val Veny per il rifugio e altre 8-12 ore per la vetta). Castagneri doveva trovarsi in piena tempesta, addirittura uragano, con venti ad oltre 120 km/h secondo la scala di Beaufort.

Il celebre astronomo Jules Janssen, dell’Accademia delle Scienze e direttore dell’Osservatorio di Meudon (che fece edificare un osservatorio in cima al Monte Bianco nel 1891), proprio il 18 agosto, durante la tempesta, si ricovera, con le sue guide, alla capanna-laboratorio Vallot (4362 m), appena eretta, mentre saliva dal versante francese per toccare la vetta del Bianco. Rimane bloccato per molti giorni. Di quella spaventosa esperienza scrive:

«Noi pensavamo di riprendere l’ascensione il giorno dopo e di giungere presto sulla vetta. Ma nella serata (18 agosto) il tempo si guastò tutto ad un tratto e nella notte la tormenta fu orribile. Risentivamo, in quelle alte regioni, gli effetti della tromba-ciclone che si è abbattuta a Oyonnax (Ain) e poi a Saint-Claude, Les Rousses, ai Brassaus, e per finire a Croy (stazione della linea Losanna-Pontarlier).
Durante la notte dal 18 al 19 e le giornate 19 e 20 non abbiamo avuto riposo e in tutto questo tempo abbiamo sofferto gli effetti della tormenta. Ho riconosciuto gli stessi colpi di vento e lo stesso procedere di un tifone che subimmo nella baia di Hong-Kong quando ero capo di una missione francese nel Giappone per il passaggio del pianeta Venere; tifone che distrusse una parte della città e sconvolse il mare della Cina.
La violenza delle raffiche era così grande, che vi era il pericolo ad uscire, e tutti gli oggetti, anche i più pesanti, che avevamo lasciato fuori, furono sollevati e trasportati sino al Grand Plateau.
Ritorno su questo argomento, ma è certissimo che la violenza della tormenta è stata, in questa alta regione, tale e quale a quella che aveva nelle pianure a più di 4000 metri sotto, ecc., ecc.» (J. Janssen, Compte rendus de l’Académie des Sciences, tomo CXI, 12. Citato da Alfonso Sella nella Rivista Mensile del Club Alpino Italiano, vol. IX, N. 10 ottobre 1890; v. a pag. 13 del pdf).

Cartolina dell’Osservatorio e rifugio Vallot (4362 m) sul Monte Bianco – anno 1909 “Ed. Jullien freres, Geneve” (sito: http://marassialp.altervista.org/)

Sulla violenza della tempesta abbiamo anche la testimonianza degli abati Chanoux ed Henry che si trovavano all’ospizio del Piccolo San Bernardo (circa 15 km in linea d’aria dal Monte Bianco). Intorno a mezzogiorno del 18 agosto uscirono per prendere un po’ d’aria. Notarono, dal pianoro dell’ospizio, il Monte Bianco che fumava. Chanoux lo guardò con il binocolo e disse: «Se vi è qualcuno oggi sul Monte Bianco, è perduto».

Le ricerche dei dispersi perdureranno fino alla fine di agosto, portate avanti con grosse difficoltà per le numerose tormente che si abbatterono sul Monte Bianco. Dopo aver atteso il miglioramento del tempo, ripresero anche a settembre per altri dieci giorni.

Cosa è successo il 18 e 19 agosto dal punto di vista meteorologico?

Alcune informazioni, tratte dal sito dell’osservatorio francese dei tornado e dei temporali violenti, ci aiutano a capire meglio:

«Un episodio tempestoso particolarmente grave ha colpito la Francia durante questi due giorni. Si è organizzato in un rapido flusso da sud-ovest, dentro una massa d’aria molto calda ed instabile

Il 18 agosto, un clima caldo e pesante interessa tutta la Francia, con temperature che raggiungono valori da cambiamento climatico, come i 36,5 °C di Moulins. In questo contesto si formano, in diverse zone, numerose tempeste da metà pomeriggio e burrasche verso sera. Raffiche di vento distruttive e grandinate con chicchi di 5 cm di diametro provocano danni significativi. Ma il fatto più sorprendente, durante queste violente tempeste, è la formazioni di due tornado di intensità EF2 ed EF3 a Domagné e a Dreux (fonte: www.keraunos.org/actualites/faits-marquants/1850-1899/orages-17-18-19-aout-1890-tornade-grele-rafales-de-vent-pluie-forte.html).

Il 19 agosto, un tornado mortale di altissima intensità (EF4) attraversa diversi comuni dell’Ain, del Giura francese e della valle di Joux (Svizzera) e provoca la morte di sei persone. I danni, considerevoli, si estendono su di una lunghezza record di 81 chilometri e una larghezza media eccezionale di 700 metri.
Il tornado di Saint-Claude fa parte di uno scoppio di trombe d’aria (episodio di tornadi raggruppati) che ammonta a 3 casi per i giorni del 18 e 19 agosto 1890 (fonte: www.keraunos.org/actualites/faits-marquants/1850-1899/tornade-saint-claude-19-aout-1890-ef4-jura-franche-comte-orage.html).

Nella scala che misura i tornado, quando siamo al grado EF4 i venti soffiano alle velocità apocalittiche comprese tra i 270 ed i 320 km/h. Dopo il grado EF4 c’è solo più il EF5, con venti oltre i 320 km/h.

Su questo devastante ciclone nel 1891 è stata dedicata un’interessante pubblicazione di ben 48 pagine dal titolo “Le cyclone du 19 aout 1890“, scritto da Louis Gauthier.

Vento molto forte (50-90 km/h) sul Monte Bianco

Ora nessuno potrà mai dirci l’intensità del vento che ha strappato la nostra cordata sul Monte Bianco, a parte il già citato Janssen, quando sostiene che «…ma è certissimo che la violenza della tormenta è stata, in questa alta regione, tale e quale a quella che aveva nelle pianure a più di 4000 metri sotto.»

«Tenendo presente che fenomeni come i tornado sono violentissimi ma interessano territori in genere molto piccoli, e secondo me in quell’occasione non sono assolutamente penetrati all’interno delle Alpi e nella regione del Monte Bianco, rimanendo confinati alle pianure adiacenti il Giura (la formazione dei tornado è fortemente disturbata dall’orografia), immagino tuttavia che al passaggio della perturbazione temporalesca, raffiche di 100-130 km/h si siano facilmente raggiunte sulle creste alpine più elevate.» (Daniele Cat Berro, Società Meteorologica Italiana – Rivista Nimbus).

I tornado, nella zona del Giura, abbatterono o spogliarono decine di migliaia di alberi, compresi alcuni tronchi portati a più di 100 metri; intere foreste distrutte; abitazioni solide sventrate o demolite; edifici bassi rasati a terra; detriti portati a diverse decine di chilometri; individui presi fino a 200 metri di distanza; macchine rovesciate o schiacciate; un carro con una gru di 25 tonnellate proiettato a 20 metri di distanza.

Foresta distrutta il 19 agosto 1890 dal passaggio del tornado nel territorio de l’Abbaye, comune svizzero del Canton Vaud, nel distretto del Jura-Nord vaudois (foto tratta dalla pubblicazione Le cyclone du 19 aout 1890)

Non sapremo mai cosa sia successo al nostro mito. La cresta di Bionnassay, a 4000 metri di altitudine, è molto pericolosa per le cornici di neve, soprattutto nelle ore più calde, tanto che gli alpinisti cercano di evitarla rientrando dalla cima del Bianco. Forse sono caduti lì come ha scritto Agostino Ferrari. O forse sono stati strappati dal vento, come è successo recentemente all’alpinista Simone La Terra mentre si trovava nella sua tenda a 6900 metri in Nepal, durante la scalata al Dhaulagiri (8167 m).

Cresta di Bionnassay (foto di Alberto Cucatto)

O forse non erano su quella via. Perché scalatori eccezionali come Castagneri e Maquignaz avrebbero voluto mettere la loro firma su di un itinerario che, nel frattempo, era già stato percorso?

Jean-Baptiste Maquignaz, figlio di Jean-Joseph, che vinse, con il padre e il cugino Daniel, il Dente del Gigante, apparteneva ancora alla generazione eroica delle vecchie guide di Valtournenche. Fu incontrato nel luglio del 1938 da Charles Gos, autore del libro “Tragedie Alpine”, da cui ho tratto notizie e spunti per questo articolo. Durante la conversazione su quei terribili giorni, si accorse che Jean-Baptiste aveva la netta impressione che la nostra cordata fosse sparita sul versante del Brouillard del Monte Bianco, anziché dove tutti li avevano cercati, ovvero lungo la cresta di Bionnassay.

Mentre la nostra comitiva veniva risucchiata da una spaventosa bufera ad alta quota, sulle pianure francesi, a qualche decina di chilometri in linea d’aria dal Monte Bianco, si stavano abbattendo violentissime e distruttive tempeste i cui effetti vennero riconosciuti in quei giorni anche da Janssen nei dintorni del rifugio Vallot, lungo la via normale francese alla vetta del Re delle Alpi.

Così uscì di scena Antonio Castagneri, la grande guida di Balme.

Articolo pubblicato sul n. 50 di Barmes News (giugno 2018).


Ringrazio di cuore la meravigliosa disponibilità e gentilezza della Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano e di Daniele Cat Berro (Società Meteorologica Italiana – Rivista Nimbus) per il loro fondamentale supporto.

Un sincero ringraziamento, per le fotografie, va anche ad Alberto Cucatto che ha scalato tutti i 4000 delle Alpi.

Un grazie in particolare all’amico Gianni Castagneri che mi ha invitato a seguire le orme di un grande mito della montagna.

Per concludere vi segnalo il Bollettino del Club Alpino Italiano, vol. XXIV, num. 57 dell’anno 1890 le cui prime pagine sono dedicate alla memoria delle guide Castagneri, Maquignaz e Carrel (quest’ultima scomparsa sempre nel terribile agosto 1890, rientrando dal Cervino durante una paurosa tempesta).

Colgo l’occasione per informarvi che il Club Alpino Italiano ha completato un lavoro durato sei anni, ovvero la digitalizzazione di tutte le 110.000 pagine delle varie riviste che il Cai centrale ha pubblicato dal 1874 ad oggi (Bollettino, Scarpone, Rivista, Montagne360 le principali), disponibili sia per la consultazione della singola copia, sia per la ricerca per parole chiave, anche multiple. Ora questo patrimonio straordinario è accessibile a tutti. Ecco il link: http://www.tecadigitalecai.it/periodici/index.php

Il Bollettino del Cai del 1890 è stato possibile consultarlo, e condividerlo con tutti voi, grazie a questa straordinaria opera.

«Bisogna essere stati bloccati dalla neve, aver sentito le mille punture dell’elettricità temporalesca, aver camminato nelle neve fresca fino al ventre in piena estate, essere stati atterrati dal vento e trascinati dalle valanghe per rendersi conto della terribile intensità dei fenomeni meteorologici alle alte quote».

Joseph Vallot, 1893

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