Ne abbiamo incontrate a centinaia lungo i sentieri delle Alpi. Disfatte, pericolanti, sfinite ma anche resistenti. Contro tutto e contro tutti: abbandono, oblio, spopolamento, ignoranza, urbanocentrismo. E poi contro neve, gelo, vento… Alcune sembrano monumenti all’essenzialità e alla bellezza. Alla sapienza. Altre sembrano sfidare il tempo breve della nostra epoca ammiccando all’eternità.
Quando le trovi ancora integre, caparbie, perfettamente innestate nel paesaggio alpino, fatto di rocce ed erba, di valanghe e di tempeste, di sentieri e di pareti, senti fuoriuscire tutta la precarietà e fragilità della tua vita di cristallo.
Loro, morenti o ancora testardamente in piedi, ti guardano negli occhi fino a rovistare dentro i tuoi malfermi e crollanti valori di cittadino europeo del XXI secolo. Quando succede, ti senti al centro di due estremità: povertà e opulenza. Una distanza che se misurata in chilometri fa rabbrividire, tanto è corta. Qui la fatica inimmaginabile e la frontiera dell’indigenza, là, verso la pianura, ogni sorta di eccesso, di pretesa, di soddisfacimento di bisogni sfrenati e senza limiti. Là solo diritti e nessun dovere.
Se potessimo costruire un ponte per unire queste due estremità, crollerebbe repentinamente il centro. Proprio dove mi trovo io. In piedi rimarrebbero due monconi: quello della baite in pietra degli antichi montanari e quello delle città di cemento e asfalto abitate da individui disorientati, malfermi e crollanti.
Sono queste le due tensioni che mi strattonano quando incontro le dimore in pietra lungo i sentieri delle Alpi piemontesi. Quelle incrollabili sono sempre più rare. Ma appena si presentano lungo il tuo cammino, non puoi che soffermarti ad ammirarle per la loro semplice e mastodontica bellezza. Alcune hanno pietre cantonali gigantesche e si ergono verso il cielo come a voler sfidare la gravità. I massi che le compongono sono perfettamente incastrati e il tetto, con il colmo possente, è fatto di rocce. Sovente le porte in legno sono enormi, come se dovessero servire a dei ciclopi. Sono un amalgama di montagna, tanto che spesso è difficile distinguerle dalla natura che le circonda.
Ti sfidano. Questo fanno mentre osservi una cultura perdente.
Ma quale?
Sono al centro, sul “ponte” disegnato dalla mia mente. Nell’epoca dei cambiamenti climatici antropogenici, dov’è il fallimento? Davanti a me o alle mie spalle? Nella storia delle Alpi o nell’avvenire delle città?
Dove sta la rovina? La risposta, forse, sta proprio al centro, dove è crollato un pezzo di ponte.
Proprio dove mi trovo io. Dove ci sono piedi di Homo sapiens.
Quando una su mille la trovi ancora viva, perché amata e coccolata da un qualche nostalgico membro di Homo sapiens, e addirittura riesci ad entrarci per esplorarla, allora prende forma un punto di contatto con la cultura materiale degli antichi abitanti. Entrare in una baita in pietra è una soddisfazione indescrivibile. È come se ritornassero, per un istante, i montanari che hanno costruito le Alpi. E allora, sempre per un istante, svanisce la società liquida che mi attende in pianura.
E’ successo proprio recentemente durante un’escursione. Non possiamo dirvi dove perché dobbiamo proteggere tutto questo e la persona che mantiene in vita un minuscolo frammento di senso dell’abitare la montagna col suo ambiente severo. Raggiunge la sua baita antica a piedi indossando le ciaspole. La troviamo davanti all’ingresso mentre fatica spalando la neve.
Si parla dell’incantevole bellezza del paesaggio che esplode tutt’intorno, del silenzio e degli animali selvatici che gironzolano nei pressi delle baite. Di serpenti e di ghiri. Di aquile e di camosci.
E’ tutto bianco, finalmente. I valloni e le pareti parlano di silenzi come succede solo quando il manto di cristalli ricopre ogni cosa.
Non c’è bisogno di andare oltre con le parole. Vi lascio alle foto. Prendetevi una manciata di silenziosi e dignitosi secondi – quello che ci concede il tempo breve – per osservare con attenzione l’essenzialità e la grandiosa solidità di quello che sapevano posare i montanari. Vorrei tanto che tutti voi poteste provare quella sensazione unica ed estremamente rassicurante che emerge osservando quei pavimenti in pietra, quei muri a secco e quei tetti di lose. Tutto sembra essere edificato per celebrare l’eterno. Sebbene alle mie spalle c’è l’opulenza del mondo occidentale, qui, intrappolato in una claustrofobica sensazione di povertà e miseria, ritrovo un autentico e genuino rispetto per il tempo cronologico. Quello di coloro che avevano la vista lunga. E ritrovo anche un immenso senso di rispetto per l’essere umano, non ridotto ad ingranaggio utile e funzionale a brevi attimi di esperienze consumistiche, bensì inserito in un orizzonte senza confini.
Come quello che si spalanca ai miei occhi quando i miei piedi mi portano in alto.
Potete ingrandire le foto seguenti cliccandoci sopra una volta. Per poi osservarle a dimensione originale, bisogna cliccare al fondo della nuova pagina (usare la rotellina del mouse oppure “freccia giù” sulla tastiera) dove c’è scritto “Vedi immagine a grandezza originale”. Per ritornare in questo mosaico di foto, cliccate in alto a destra sulla piccola “x”.
Bellissimo! Segni di magistrale abilità edilizia comprensiva del rispetto per i luoghi e dell’attenzione, in seguito andata completamente persa a favore dell’ingordigia cementificatoria, alla giusta collocazione onde evitarne una prematura distruzione a causa di valanghe o inondazioni. Ogni volta che passo davanti ad una di loro m’inebrio gli occhi e la mente immaginandola ancora viva, talvolta, per non dire spesso, mi sogno di viverci io stesso, specie ora che, avvicinandosi la pensione, il desiderio di un rigenerante eremitaggio lontano dalla confusione e dalla fretta, per una vita in tutti i sensi secondo natura, cresce e invade sempre più l’animo mio e di mia moglie.
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Gran bell’articolo che descrive perfettamente le sensazioni che provo quando scopro uno di questi monumenti camminando sui monti che amo e che circondano il lago d’Orta, il lago Maggiore, sino alla Formazza e la Val Grande. Un grande senso di rispetto per la fatica e il sapere dei nostri montanari. La montagna a chi la ama e la rispetta.
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Ti ringrazio.
Condivido il tuo commento.
Rispetto, certo. Ma anche amarzza per non essere stati capaci di cogliere questo immenso patrimonio messo insieme con fatica enorme.
Presto ci accorgeremo, noi occidentali opulenti, di aver vissuto una grande illusione. Credendo che fosse la verità eterna.
Buona montagna.
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Grazie Beppe. Hai scritto in modo splendido tutti i pensieri che da anni mi attraversano mente e corpo girovagando tra Terre Alte e ambienti urbani. Con la fatica di Restare
Umani in questi tempi bui. E resistere, nonostante tutto. Elisa_Buzz
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Elisa, grazie a te. È bello trovarti qui. È bello leggere quello che hai scritto, oltre ai complimenti (molto graditi).
“La fatica di restare umani e resistere”. Brava, hai espresso perfettamente quello che sto provando anch’io.
Grazie ancora ☺
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Grande articolo!!!!
Ettore
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Grazie!
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Si pensa sempre alle pietre come a qualcosa di freddo e distaccato, forme scomode, pesanti talvolta pericolose…ma quando le pietre riscaldano, addomesticate prendono la forma di una dimora accogliente, contengono e proteggono anime semplici, gesti sempre uguali, stagioni che si ripetono, allora anche le pietre prendono vita e si colorano di ricordi e di emozioni. Qui dove adesso giacciono pietre abbandonate in paesi diroccati…qui dove fantasmi si rincorrono fischiando al vento e sbattendo porte rimaste socchiuse, qui ancora respira l’anima di una montagna fiera, che non si arrende e tiene tutte le sue pietre vicine sperando che un domani qualcuno torni a rifugiarsi tra loro. GRAZIE Beppe x condividere tanta bellezza e portarci vicino a chi tiene vive pietre piene di storia e di magia.
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GRAZIE a te che alimenti i post con i tuoi bellissimi commenti dal profumo poetico!
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