L’isolamento delle Valli di Lanzo

Una cartolina di Balme nel 1972

Testo di Gianni Castagneri

I tempi complicati che la situazione attuale ci costringe a vivere, ci porta ad esperienze che credevamo relegate al passato e che solo qualche mese fa avremmo ritenuto impensabili. Le opportune misure di contenimento del contagio, che ci trattengono dal continuare a fare ciò a cui eravamo allegramente abituati, ci paiono anche un po’ strette. La solitudine ci attrae se è autoimposta ma appena ne siamo obbligati la percezione cambia: ci appare come una privazione di quella libertà di cui prima eravamo persino inconsapevoli.

A Balme, paese sempre un po’ ai margini, geografici, politici, economici, tecnologici, sociali, l’isolamento forzato non è una novità e nemmeno un alibi. Nel passato queste condizioni rientravano nelle normali circostanze della vita in alta montagna, accettate grazie soprattutto alla relativa autosufficienza dell’economia tradizionale, che poteva supplire sia pure con sacrifici e privazioni, al protrarsi dei disagi.

Alcune informazioni, reperite dalla storica Mariateresa Serra, che al tema delle pestilenze ha dedicato molte delle sue ricerche, ci ricordano che già Il 7 settembre 1564 fu vietato l’ingresso delle valli a chiunque, “salvo habbi suva bolletta dal luogo donda viene contrassegnata del sigillo di Lanzo”. Disposizione che viene ripetuta nel 1577 e di nuovo nel 1630.

Nel 1599, sempre per la peste, si fa guardia ai Cornetti, dove è ancor oggi individuabile l’antico lazzaretto.

Affresco all’ingresso di quello che fu il lazzaretto dei Cornetti (Balme – foto Gianni Castagneri)

In tema di segregazione forzata, questa volta dovuta agli eventi climatici, è senz’altro leggendaria la descrizione fatta due secoli fa dal conte Francesetti a proposito dei balmesi: “Il villaggio di Balme rimane per molti mesi sepolto sotto la neve, al punto che gli abitanti sono talvolta obbligati a restare per interi giorni senza poter uscire dalle proprie case”. E ancora: ”Le comunicazioni con i paesi meno elevati sono interrotte per intiere settimane e, anche in caso di gravi malattie o della rottura di un arto, non si può contare su alcun soccorso dall’esterno. All’inizio dell’inverno, ogni famiglia fa le proprie provviste, come si farebbe in una città che dovesse prepararsi a sostenere un assedio di qualche mese. Neppure i morti vengono più seppelliti entro le ventiquattro ore, come si fa abitualmente, perché il cimitero è sepolto sotto sei o sette piedi di neve. Le salme vengono messe in una piccola stanza a fianco della chiesa, dove si conservano senza corrompersi, finché non è possibile spalare qualche tesa di terreno e scavare una fossa”.

Gli incombenti sacrifici, sempre probabili durante i lunghi inverni, si sono protratti fino a quasi 20 anni fa quando, dopo alterne vicissitudini, si completò la variante alla strada provinciale di Chialambertetto, sulla quale cadevano da sempre imponenti valanghe che interrompevano il passaggio dei veicoli e destinavano il più alto paese della valle a brevi isolamenti. O talvolta lunghi, come nel 1972 e nel 1974, quando il distacco a fasi alterne dal resto del mondo si protrasse anche fino a tre mesi e gli approvvigionamenti avvenivano tramite squadre di volenterosi dotati di slitte e zaini capienti. Del ’72 si ricorda pure il frettoloso trasferimento, avvenuto per forza di cose in elicottero, di una giovane donna in procinto di partorire. Anche a inizio febbraio del 1994 il paese è isolato. In sole 24 ore 140 cm di neve hanno completamente fermato le strade, ma la mattina del giorno 4 un grave incidente sul lavoro turba la comunità. Non c’è il tempo per attendere i soccorsi e allora il ferito viene accompagnato attraverso le imponenti valanghe, fino a raggiungere l’ambulanza a valle di esse.

Il ponte della variante alla strada provinciale di Chialambertetto – Foto Gianni Castagneri

Altri isolamenti sono rimasti nella memoria collettiva: come quello che riguardò i paesi da Germagnano in su a seguito della definizione di una “zona libera”, sorta di repubblica partigiana, durante la guerra di Liberazione. Anche in quel caso i viveri erano trasportati a spalla d’uomo da corvée di volenterosi guidati dal parroco di Balme, Don Guglielmotto.

C’erano poi quelli dovuti a frane ed erosioni che asportavano tratti di strada.

Dopo la disastrosa alluvione dell’ottobre 2000 Balme e Mondrone rimasero confinati dal crollo di un tratto viario che richiese la costruzione di un nuovo tracciato, realizzato in meno di 40 giorni, durante i quali persino i bambini si recavano a scuola dopo aver percorso un tratto a piedi.

In questa attuale e surreale primavera invece, a limitarci gli spostamenti è un virus subdolo e pericoloso. Ce ne ricorderemo per sempre ma ci rimarrà in mente soprattutto perché, come tutti i momenti più brutti, e speriamo con pochi tormenti, l’avremo sconfitto. Una bella frase, peraltro attribuita erroneamente a Darwin sostiene come “Non sia la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento”. Allora forse, dopo questa imposta e traumatica limitazione, eviteremo di infuriarci per le sciocchezze di tutti i giorni, ridurremo i comportamenti inconsci scatenati dalle invidie, dai rancori mai sopiti. Questa pausa forzata ci porterà magari a cambiare le prospettive, a riscoprire il senso di umanità, a concentrarci sulle cose che contano veramente e a indurci il desiderio di unirci contro un nemico comune, subdolo e insidioso. E forse, finalmente, far tesoro del concetto espresso quattro secoli fa dal poeta inglese John Donne, pensiero che nelle piccole comunità, almeno nei momenti difficili, è sempre stato ben compreso: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”.

Gianni Castagneri

8 pensieri riguardo “L’isolamento delle Valli di Lanzo

  1. Grazie Gianni. Io sono un po’ meno ottimista di te circa la previsione sull”imparare. Come specie siamo troppo diabolicamente perseveranti, nel bene ma soprattutto nel suo contrario.
    Ps
    Quante neve c’è su al Pian della Mussa?

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  2. Bell’articolo bravo. Mi hai fatti tornare in mente quando salivo a Pian Ciamarella a pascolare le mucche e si scendeva una volta la settimana per rifornirsi del bisogno … però avevo 14 anni

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