Testo di Luca Giunti
Ritornano. Scendono dai monti, si spostano col buio, appaiono inattesi al limite dei campi e nelle periferie dei paesi. È un eufemismo dire che erano quasi estinti. Li avevamo sterminati. A fucilate, con trappole e tagliole, con esche avvelenate. È accaduto ovunque più o meno fino a cent’anni fa. All’epoca le terre alte sull’arco alpino e lungo la dorsale appenninica erano intensamente abitate. Ogni monte, poggio, collina, prato, pascolo, era frequentato e sfruttato. Dove c’erano boschi, si tagliavano per avere più terre da coltivare e legna da bruciare. Dove c’erano pendii scoscesi, si spianavano e si tratteneva la terra con quella meraviglia di ingegneria contadina che sono i muretti a secco. Sono ancora lì a ricordarci quelle esigenze e quella vita, quando oggi passiamo loro accanto durante un’escursione di piacere.

Quel modello non ammetteva competitori. Una capillare guerriglia secolare ha sterminato via via gli orsi, gli stambecchi, i lupi, i cervi, i caprioli o i daini. Perfino i cinghiali! Sono sfuggiti all’estinzione solo i camosci ma si sono dovuti rifugiare sulle montagne più alte. Alla fine della prima guerra mondiale si è concretizzata una povertà faunistica mai avvenuta in precedenza nella storia. Neanche tre decenni dopo, le montagne italiane si sono spopolate quasi di colpo e allora sono dapprima tornati gli alberi e in seguito una buona biodiversità ricca di opportunità di cibo per tutte le categorie. Noi abbiamo contribuito massicciamente. Non solo sgombrando il campo ma soprattutto acquistando all’estero gli animali di grossa taglia che avevamo eliminato. Con essi abbiamo ripopolato ogni regione. Oggi sono centinaia di migliaia e costituiscono un problema irrisolvibile per i danni alle colture e gli incidenti stradali. Solo due specie non abbiamo comprato negli allevamenti e liberate: lupi e orsi.

I primi sono tornati spontaneamente già prima del 2000, e molto fanno parlare e discutere. I secondi hanno occasionalmente fatto capolino gli inverni scorsi, e subito si sono allineati ai loro colleghi carnivori suscitando allarmi e paure, entusiasmi e polemiche.

Nell’inverno scorso, forse anche con la complicità del virus che ha costretto gli umani a starsene chiusi in casa, si sono affacciati anche in Piemonte i primi esemplari di orso, in Val d’Ossola e in Val Grande, provenendo dalla Svizzera. Arrivati lì nella loro naturale espansione da est a ovest – per la verità un po’ in anticipo rispetto ai tempi previsti dai biologi – hanno cominciato a valicare i confini verso sud. Per ora si tratta di incursioni brevi: nel giro di poche settimane quegli individui solitari sono tornati oltre frontiera, come uno qualsiasi dei tanti pendolari che ogni giorno attraversano lo stesso confine per lavoro. Le preoccupazioni sono svanite subito. Sono solo rinviate, però. Torneranno. E probabilmente resteranno sempre più a lungo.

Allora è l’occasione, un’altra occasione, per provare a riflettere in anticipo su quali sia il vero rapporto che vogliamo avere con il mondo naturale. In altre parole: siamo preparati nei nostri territori ad accettare la presenza di animali ingombranti, in qualche caso dannosi e potenzialmente pericolosi, come gli orsi?
Ovunque tornino questi animali sollevano sempre le stesse valutazioni. Come i lupi, abitano dai tempi ancestrali il nostro immaginario: sono simboli araldici, personaggi delle favole e dei fumetti, allegoria di saggezza, di forza e di nobiltà. Nello stesso tempo uccidono bestiame domestico, fanno razzia di alveari e il loro carattere proverbialmente scontroso li porta talvolta in rotta di collisione con le attività umane, soprattutto con quelle persone che non hanno dimestichezza con il mondo animale e che possono inconsapevolmente adottare comportamenti o segnali che vengono giudicati invadenti o aggressivi dall’orso, anche se le loro intenzioni sono buone.

Dal punto di vista naturalistico, e secondo alcuni autori anche da quello turistico, un territorio abitato dagli orsi e dai lupi è un territorio migliore. Più equilibrato, più diversificato, persino più attrattivo per il fascino eterno che questi animali-totem suscitano sempre in ognuno di noi.
Mi sembra però che abbiamo degli animali e della natura in genere una visione edulcorata, disneyana, buonista. Come se l’orso possa essere quello che veniva portato in giro nelle fiere di paese, addomesticato, sdentato e incatenato, per essere esibito e raccogliere qualche moneta. O quello ancora oggi impersonato nelle celebrazioni della primavera, come Fora l’Ors di Mompantero e di altre località montane. O Baloo e lo Sceriffo di Nottingham e Frate Tuck e l’amico di Masha o Teddy e Yoghi e Bubu e tanti altri.

Non vogliamo o non sappiamo più comprendere gli aspetti meno simpatici, persino rischiosi in qualche occasione. Perché i mammiferi selvatici – lupi e orsi sopra tutti – sono come noi. Nello stesso tempo buoni e cattivi. Contemporaneamente – nei casi migliori, alternativamente – santi e stronzi. In quegli animali ci specchiamo senza trucchi e questo ci disturba. Non vogliamo vederli e ci giriamo dall’altra parte. Non potremo farlo per sempre.
Luca Giunti
Ho imparato molto da questo racconto. Grazie!
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interessante, non capisco perché ma se cerco di condividerlo su FB appare questo messaggio “Questo URL viola i nostri Standard della community in materia di spam:
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