Penetrata S. M. della sventura occorsa ad alcuni individui rimasti vittima dell’ingorda ferocia de’ lupi detti della Svizzera ricomparsi già nel corrente anno in qualche Provincia de’ Regj Stati, determinò nel suo sensibile, e magnanimo cuore di promuoverne radicalmente lo sterminio […].
Da “Manifesto per aumento di premio agl’uccisori di lupi feroci“, Torino 6 giugno 1817.
Quattro secoli di sterminio
Testo di Luca Giunti*
Al termine della breve relazione che insieme ai colleghi di Città Metropolitana ho tenuto al salone del libro di Torino, alcuni presenti hanno continuato a porre domande sul ritorno del lupo, sul monitoraggio nazionale, sull’aumento e la diffusione in aree collinari e periurbane, non più solo montane. Un interrogativo in particolare ricorreva con una certa polemica: «va bene tutto, ma i nostri nonni che hanno sterminato i lupi, non potrebbero aver avuto ragione? perché noi non potremmo ritornare a una situazione come quella, senza alcun lupo in giro?»

La questione è stuzzicante e, siccome torna spesso nelle discussioni pubbliche e private, vale la pena approfondirla. E poi il caldo favorisce l’immobilità fisica ma stimola pensierini in libertà.
Come hanno fatto i nostri antenati a estirpare il lupo dalle Alpi? Non soltanto con le pallottole, come si immagina oggi. Hanno agito – forse inconsapevolmente – su tre fronti. Primo: hanno distrutto la casa dei lupi, cioè hanno tagliato continuamente i boschi a partire dal secondo Medioevo. Secondo: hanno eliminato il cibo dei lupi, ammazzando progressivamente cervi, caprioli, cinghiali, stambecchi (tranne che al Gran Paradiso) e tutte le altre potenziali prede più piccole. L’ultimo fattore – solo l’ultimo! – è stato l’uccisione diretta perpetrata, ricordiamocelo, non solo con i fucili (che erano imprecisi e fallaci, ma soprattutto costosi e irraggiungibili per gran parte dei montanari e dei contadini). Gli strumenti principali sono stati tagliole, trappole di ogni forma e acuminatezza, bocconi avvelenati, catture dei cuccioli dentro le tane e immediata esecuzione sul posto sbattendoli contro le rocce o lanciandoli nei precipizi. Chi oggigiorno invoca la caccia diretta come “soluzione finale” dimentica che in passato ha avuto un ruolo secondario – anche se esaltato come sempre dall’aneddotica venatoria maschile.

Allora la conclusione del ragionamento, a mio avviso, è la seguente.
I nostri avi non potevano conoscere l’insostituibile funzione del lupo e degli altri predatori nel mantenere gli equilibri degli ecosistemi naturali. Questa ignoranza giustifica storicamente il loro operato ma non permette di fare altrettanto con noi che “abbiamo studiato”. Oggi il lupo è un animale protetto a livello internazionale ma questa forma di tutela è una decisione umana, un provvedimento politico, potremmo dire una scelta democratica. Nell’eventualità che in futuro si decreti altrettanto democraticamente di modificarla, dobbiamo essere consapevoli che – ammesso e non concesso che volessimo togliere i lupi dall’arco alpino – non basterebbero le fucilate: dovremmo ricominciare a impiegare tutti i metodi sopra descritti. Almeno quelli legali, visto che tagliole, trappole, lacci ed esche velenose sono fuorilegge (e ci mancherebbe, aggiungo io).







Dovremmo prima di tutto eliminare nuovamente tutti i cervi, tutti i caprioli, tutti i cinghiali, con buona pace di cacciatori, animalisti e legislazione di settore. Contemporaneamente dovremmo disboscare forsennatamente ogni collina, montagna, appennino e prealpe d’Italia, con buona pace di altre leggi, del dissesto idrogeologico e dell’anidride carbonica che invece di essere assorbita sarebbe ancor più emessa.
Il tutto, senza dimenticare che i nostri nonni sono sì riusciti a sradicare i lupi ma ci hanno messo circa 400 anni.
*Luca Giunti, dottore in Scienze Naturali, è guardiaparco presso le aree protette delle Alpi Cozie in provincia di Torino. Naturalista e fotografo (#sbaluf) partecipa a progetti Life dell’Unione europea ed è autore di articoli divulgativi e scientifici. Nel 2021 ha pubblicato Le conseguenze del ritorno. Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia.
Mi chiedo come certi estremisti possano occupare così tanti articoli di giornale.Molto male, soprattutto,per il fatto che vengano stipendiati anche con i nostri soldi.
Il lupo,come tutte le specie opportuniste in particolare,vanno contenuti numericamente.Il danno,alla collettività che sta creando, è enorme.Grazie a persone come Giunti,questa cosa,viene ben nascosta.
Se lasciassimo da parte le ideologie,e,cercassimo di vedere la realtà,il giovamento sarebbe per tutti.
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non so se credere ad un “estremista presente sui giornali e stipendiato con i nostri soldi”, che studia a livelli academici per farlo, che vince uno/qualche concorso tra i suoi pari, che pubblica articoli scientifici (lasciamo pure perdere quelli divulgativi), che contribuisce e partecipa alle conferenze di settore, che ci racconta cosa dice la scienza e la storia (“la realtà”, cit.) in merito a queste tematiche, ecc…, oppure a Pamela quando descrive la specie del lupo come opportunistica da contenere numericamente. senza ideologia alcuna, ovviamente
😄
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Pamela…
avrei due domandine da porti:
1°): citi “danno alla collettività”! Potrei sapere quali sarebbero?
2°): “specie opportuniste”? Forse non lo ricordi, ma…anche noi “siam considerati esattamente così! Che vogliamo fare?
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Estremista? No. Ideologico? Nemmeno. Dipendente pubblico? Si, pagato – come tutti i miei colleghi nei parchi – sostanzialmente per tre compiti: vigilare, studiare, spiegare. Cerco di svolgerli con onestà intellettuale, senza pretesa di infallibilità e sempre pronto a confronti costruttivi. Però, se svolgo un tema, vorrei essere giudicato per quello che ho scritto o detto e non per altri argomenti immaginari o collaterali. Perché certamente non posso essere accusato di nascondere qualcosa riguardo i lupi. Fanno danni? Si. Sono necessari? Si. Possiamo tornare indietro? No. Possiamo migliorare le situazioni di conflitto? Si, a patto che tutti i protagonisti (e intendo proprio tutti: amministratori, tecnici, sindacalisti, escursionisti, turisti, ciclisti, tartufai, cacciatori, pastori, blogger, giornalisti, ecc.) siano disposti a cambiare abitudini – cosa che non piace a nessuno di noi. La soluzione (almeno una delle soluzioni possibili) è l’abbattimento dei lupi? Forse sì, forse no: chi la pratica da anni non vede diminuire i danni alle greggi mentre i branchi vengono destrutturati e i giovani lupi senza guida possono addirittura predare più pecore perché sono più facili dei cervi. Inoltre, se un’area o un’azienda sono attrattive per i lupi, eliminarli senza modificare il contesto causerà l’arrivo di nuovi lupi poco tempo dopo. Infine, quando viene praticato come unico strumento di controllo su altre specie selvatiche, non funziona. I cinghiali con o senza PSA ce lo dimostrano ovunque. Ciononostante, vogliamo provare? Bene, è una decisione gestionale già prevista dalle leggi vigenti nazionali e comunitarie – a ben determinate condizioni. Che però, fino a oggi, nessun ente ha mai certificato in Italia… Quindi, la conclusione è sempre la stessa. C’è una differenza tra la propaganda e la conoscenza: io sto lì in mezzo.
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