Rintracciare una copia del libro Il glacialismo nelle Valli di Lanzo, di Federico Sacco, non è stato semplice. Qualche anno fa mi trovai in un vicolo cieco quando scoprii che una copia per la consultazione era disponibile all’Accademia delle Scienze di Torino ma per entrarci era necessario essere socio oppure farsi presentare da uno di essi. Successivamente mi venne in aiuto – ormai insperato – Giacomo Re Fiorentin, geologo dell’Arpa Piemonte.
Pubblicato nel 1928, sono riportate le memorie del Prof. Sacco sulle osservazioni e sugli studi del glacialismo delle Valli di Lanzo, corredato di carta glaciologica e fotografie.
Prima di continuare nella lettura di questo post, vi invito a guardare un paio di video per rendervi conto di quanto sta succedendo quest’estate in alta quota.
Il primo è del 10 luglio scorso (zero gradi a 4500 m) e riprende l’imponente acqua di fusione (notate il suo colore bianco latte) che scende dal Canale delle Capre, per alimentare poi la Stura che si origina sul Pian della Mussa, e che arriva dall’ormai glacionevato dell’Uja di Ciamarella (3676 m; la montagna più alta della Valli di Lanzo) e da quello del Collerin:
Il secondo video è stato girato da Ivano Ravicchio durante l’ascensione all’Uja di Ciamarella del 31 luglio scorso (zero gradi a 4600 m), organizzata dal Cai Lanzo:
Sacco ci permette di fare un salto all’indietro di 100 anni per poter comprendere com’erano i paesaggi glaciali delle Valli di Lanzo. In particolare sul nostro povero glacionevato, scriveva così:
«Quanto al Glacialismo attuale (1925, n.d.a.) dell’alta Val d’Ala vi possiamo distinguere:
[…]
2°) Ghiacciaio della Ciamarella che anticamente si collegava completamente con il Ghiacciaio del Collerin, contribuendo notevolmente a costituire il Pian Gias, scendente sino sotto i 2500 metri.

Notisi che verso la metà del Secolo XIX tale riunione ancora esisteva in parte, come lo indicano, sia la Carta topografica al 50.000 degli Stati Sardi, sia gli archi morenici (due principali concentrici) che scendono sotto la regione prasinitica levigata di quota 2907 (rilevamento del 1925) nonchè i depositi morenici a destra, (sotto la quota 3224 del rilev. del 1925) costituenti ora una specie di largo V fortemente sdoppiato sul lato destro e con molto materiale sparso verso il basso sopra la roccia verde.


La Tavoletta di «Novalesa» del I. G. M. rilevata nel 1881 già mostra il Gh. di Ciamarella ben staccato da quello di Collerin, ma però con una lunga proboscide terminale scendente a 2807 m., mentre il margine o labbro destro toccava i 3072 metri circa.

Oggi, come mostra la Tavoletta «Uja di Ciamarella» dell’I. G. M., rilevata nel 1925 questo Ghiacciaio termina in ampia lingua pendente che giunge in basso solo più presso i 3000 m. circa; il fianco o labbro destro si è pure alquanto ritirato dal 1881; ma esiste ancora sulla sinistra una piccola lingua glaciale che sotto lo sprone roccioso di quota 3297 penzola sull’aspra regione dirupata nell’alto del Vallone o Canale della Valanga Nera; nome derivante probabilmente dal materiale morenico (Calceschisto brunastro) che causato dallo sfacelo della parete occidentale della Ciamarella, deve abbondare commisto al materiale nevoso-glaciale connesso con detta alta protrusione del Ghiacciaio in esame. (Vedi Tav. II, fig. 2 e 3 e Tav. III, fig. 7 e 8).»



Fare i confronti con le foto e i video attuali (e non siamo ancora arrivati al 9 agosto, come indicato nella foto della Fig. 7) lascia senza parole.
Per coloro che fossero interessati a leggere “Il glacialismo nelle Valli di Lanzo”, segnalo che una copia può essere richiesta alla Biblioteca Nazionale del Cai, scrivendo a biblioteca@cai.it.







Come si fa ad elaborare questo profondo senso di perdita?
Come si spiegheranno questi paesaggi glaciali perduti, alle future generazioni?
«Gli spazi dove lo spirito della natura è rimasto autentico e selvaggio non mancano e si tratta di un patrimonio inestimabile. Essi rappresentano l’unica antitesi cui possiamo confrontare il nostro mondo artificiale. La loro mancanza renderebbe impossibile il dialogo tra le due prospettive, quella umana e quella naturale, che da sempre ispira il progresso culturale e scientifico e tanto può contribuire alla crescita personale di ciascuno.»
Ringrazio sentitamente la Biblioteca Nazionale del Cai per il supporto, sempre cordiale e fondamentale, Giacomo Re Fiorentin per avermi inviato una copia in digitale del libro di Sacco, Ivano Ravicchio (abile ed indefesso “documentarista” del Cai Lanzo) e tutti i soci Cai che hanno partecipato e documentato con foto l’escursione sociale del 31 luglio scorso.

Grazie per questo articolo, un condensato di conoscenza e di informazione ma anche espressione di passione per la natura e la montagna. Chiedo gentilmente da dove è tratta la citazione di Giovanni Baccolo “Gli spazi dove lo spirito…”
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Prego Emanuela, ti ringrazio tanto per il tuo apprezzamento. Mi conforta molto perché, sai, scrivere di tutto questo fa male. Per sopportarlo (in questo come in tanti altri post) mi metto le cuffiette e ascolto musica ad alto volume. Così il dolore si scioglie un pochino tra le note.
La citazione è presa da questo bellissimo libro, scritto da un Maestro: https://camoscibianchi.wordpress.com/2021/03/04/piccoli-ghiacciai-alpini/
In quel post è anche linkato un estratto (Custodi delle terre selvagge) da dove ho preso quel pezzo. Eccolo: https://camoscibianchi.files.wordpress.com/2021/03/custodi-delle-terre-selvagge.pdf
Giovanni è straordinario e vorrei tanto che si riproponesse un’opera come quella anche per i ghiacciai delle Valli di Lanzo, in via di estinzione. Perché anche tra di loro ci sono sicuramente storie interessanti che vale la pena salvare, prima che sia troppo tardi.
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Grazie Beppe
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Proprio alcuni giorni fa ho trovato alcuni album di foto (cartacee) che avevo scattato tra la seconda metà degli anni ’90 e gli inizi del XXI secolo…. Sono rimasto di stucco nell’osservare quanto ghiaccio abbia perso il ghiacciaio della Basei e i ghiacciai della testata della Val di Rhemes! Già all’epoca, quando scattavo le foto, mi stupivo dell’arretramento di tali masse glaciali rispetto alle dimensioni che avevano verso la fine dell’ 800 ma ora il loro stato di salute è davvero desolante! L’estate del 1994 era stata calda ma i ghiacciai erano ancora coperti di neve ad agosto e le loro fronti erano ancora relativamente gonfie. Il ghiaccio vivo, poi, non aveva la colorazione grigiastra che ha invece oggi. E’ un mondo che non c’è più. Se già eravamo sicuri che le montagne erano cambiate in un secolo e mezzo, ora mi permetto di dire che sono drasticamente cambiate anche solo rispetto a 20/25 anni fa. Mi consola il fatto di essere ancora riuscito a vedere corpi glaciali degni di essere definiti tali e di avere visto, in pieno agosto, ghiacciai bianchi e luccicanti, da “cartolina”, ben diversi da questi ammassi grigio/neri che mi ricordano ormai la neve ammucchiata dagli spazzaneve e destinata a ricoprirsi di terra e polvere delle strade.
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