Chi ama la montagna lo sa. Sa che quando passeggia in un bosco, si inerpica su un sentiero, si arrampica su una roccia, affronta una cresta, sta entrando in un territorio che, per quanto conosciuto e nonostante l’esperienza accumulata, non è casa sua. E sa che deve entrarci in silenzio possibilmente, con un passo cadenzato e costante, mai troppo veloce, mai troppo lento, e tutti i cinque sensi allertati perché il pericolo zero da queste parti non esiste.
La bellezza del Meisino è che è così. Vuoto. Vero. Senza strutture o attrezzature di alcun tipo. (Giovanna Mezzogiorno)
Ma così come nella vita quotidiana abbiamo bisogno di un momento in cui non succede nulla, anche gli spazi hanno bisogno di una parentesi che li difenda dall’ossessione di occuparli e gestirli a prescindere. (Ernesto Ferrero)
Le due citazioni sono recentissime e riguardano le infrastrutture sportive che il Comune di Torino vorrebbe costruire nella riserva naturale “Parco del Meisino”.
Ma che c’entra un parco urbano con un blog di montagna?
Che i miei occhi possano parlarti. Che gli sguardi dei miei fratelli possano illuminarti il sentiero. Quel sentiero che hai smarrito da tempo, permettendo alla mente di silenziare il cuore. Le nostre anime abitano corpi diversi, ma siamo tutti espressione della bellezza di Gaia, di cui anche tu fai parte.
Vi ricordate da piccoli come era bello trovare una pozzanghera per saltarci dentro? E non mi dite che non avete mai raccolto una pietra per aprire un pinolo, una noce o una nocciola! Ed il profumo del mallo? Uno di quelli impossibili da dimenticare! Di quei profumi ancora oggi mi nutro e li cerco nei boschi. Quei profumi che non saranno mai in vendita su nessun scaffale.
Una donna, curva sotto il peso di una gerla. Il Monumento alla civiltà alpina, collocato a Mocchie (Val di Susa), simboleggia bene il peso, la fatica, il sacrificio della gente di montagna.
Nel silenzio di un giorno appena nato salgo da sola su una delle vette del gruppo del Velino. Nulla di eroico, nulla di adrenalinico, di spettacolare. O meglio, spettacolare è il bosco di faggi ormai scarni che ho appena attraversato, è la salita sulla prima neve, il rumore dei ramponi che rompono la leggera crosta che si è formata nella notte, il vento in cresta e le nuvole in lontananza. Il brutto tempo verrà, ma più tardi, sulla via del rientro. Per questo la scelta di oggi, dopo il confronto con le varie previsioni meteo. Per questo la partenza all’alba. Per questo la decisione di essere sola, più veloce, più leggera. Mi chiedo cosa ci sia da valorizzare. Me lo chiedo e mi fa paura. Conscia di stare per fare un ragionamento elitario, poco corretto, sicuramente egoista e decisamente asociale, non posso fare a meno di pensare che la montagna meno viene valorizzata, pubblicizzata, aperta, fatta conoscere, meglio è.
Fa un freddo cane ai Cornetti, il piccolo villaggio in alta Val d’Ala dove in inverno l’ombra e il silenzio ti si appiccicano addosso, mentre calzi le racchette da neve. Non so se per la coda dell’estate infernale, se perché non sono più abituato, se l’abitacolo dell’auto era troppo caldo, ma le mani mi fanno male. Resisto con i ridicoli guantini ma so che tra una mezz’oretta di marcia andrà meglio. E’ sempre stato così. Meno sette non è nulla di strano qui, a 1450 metri, a due passi da Balme dove si dice che l’inverno dura otto mesi. Ma stamane c’è il vento, forte in quota, che appesantisce la sensazione di gelo.
Marjeta Keršič-Svetel è esperta di comunicazione strategica, grande conoscitrice delle aree protette alpine, giornalista ed ex vicepresidente della CIPRA. All’età di 3 anni è partita senza genitori per raggiungere le montagne vicine.
Un’intervista su azioni pionieristiche, i problemi delle Alpi e il loro futuro. Qui riportiamo le sue due ultime risposte a domande su temi cruciali, di cui sentiamo particolarmente l’urgenza.
Qual è, secondo lei, il problema principale che le Alpi devono affrontare oggi? Le Alpi sono sempre state in difficoltà, ma ora la situazione sta peggiorando. La gente di qui era molto brava in quello che oggi chiamiamo uso sostenibile delle risorse, ma quei giorni appartengono al passato. La pressione delle masse di coloro che non vivono nelle Alpi e vi esercitano la loro influenza non è mai stata così grande. Le Alpi con le loro preziose risorse vengono svendute, i giovani se ne vanno, il cambiamento climatico è sempre più evidente. Senza decisioni sagge, questo effetto valanga continuerà. E non riguarderà solo la popolazione delle Alpi. Le comunità locali non possono affrontare queste sfide da sole. Dobbiamo lavorare a livello internazionale per uno sviluppo sostenibile delle Alpi.
Cosa si augura per il futuro delle Alpi? Vorrei che le comunità locali delle Alpi conservassero i loro valori e la loro identità culturale. Non solo per preservare l’eredità del passato, ma anche per plasmare lo sviluppo a modo loro. E che in Slovenia la CIPRA ottenga il sostegno e il peso che ha in altri Paesi alpini.
La fragilità si declina in tanti modi. Una fra le più diffuse è la memoria perché non abbiamo tempo per coltivarla. Poi c’è la scarsa attenzione e concentrazione, le distrazioni imperanti della nostra epoca, la mancanza di lentezza (la fretta ci devasta), la scarsa sensibilità verso la conoscenza, la mediocrazia… Ma in cima a tutte metterei la distanza che ci separa dal mondo naturale, non solo fisica ma soprattutto mentale.
Un selfie al capezzale non è da tutti, specialmente con il sorriso smagliante. Bisogna avere la giusta dose di cinismo ed essere freddi come ghiacciai bollenti. Forse anche un tantino nichilisti. Forse un po’ folli e disumani.
La banda suona mentre il Titanic affonda – ormai non ci facciamo più caso – e noi simulacri di alpinisti-escursionisti facciamo festa in cima alle vette, inondando i social con selfie di visi sorridenti, felici ed entusiasmanti per le “imprese” di poveri falliti, mentre intorno a noi i ghiacciai muoiono, le pareti franano e gli stambecchi devono raggiungere quote sempre più elevate per sopravvivere durante le scalate da brividi delle zero termico di un’estate allucinante, inimmaginabile solo 20-30 anni fa: 4000 metri, 4500, 5000…
Sedersi con le spalle all’ingresso del bivacco Molino (2283 m; Val d’Ala – Valli di Lanzo) ed osservare un branco di stambecchi che pascolano a pochi metri di distanza, è al contempo un evento inconsueto ed un’emozione straordinaria.
Dopo aver pascolato, il branco ha sfilato davanti a noi andando avanti e indietro in fila indiana, le femmine in testa e i piccoli al seguito, mentre alcuni esemplari sono rimasti appostati come sentinelle sulle prominenze rocciose, che si erigono alle spalle al bivacco.
Rintracciare una copia del libro Il glacialismo nelle Valli di Lanzo, di Federico Sacco, non è stato semplice. Qualche anno fa mi trovai in un vicolo cieco quando scoprii che una copia per la consultazione era disponibile all’Accademia delle Scienze di Torino ma per entrarci era necessario essere socio oppure farsi presentare da uno di essi. Successivamente mi venne in aiuto – ormai insperato – Giacomo Re Fiorentin, geologo dell’Arpa Piemonte.
Pubblicato nel 1928, sono riportate le memorie del Prof. Sacco sulle osservazioni e sugli studi del glacialismo delle Valli di Lanzo, corredato di carta glaciologica e fotografie.
Prima di continuare nella lettura di questo post, vi invito a guardare un paio di video per rendervi conto di quanto sta succedendo quest’estate in alta quota.
Sulle carte escursionistiche, sui programmi del Cai, tra le parole delle comitive di alpinisti, sui giornali si parla di “ghiacciai” quando in verità molti di questi, sulle Alpi piemontesi, sono diventati – purtroppo – “glacionevati” o più precisamente “fossili climatici” (G. Baccolo, 2020). I cambiamenti climatici sono rapidissimi e di conseguenza trasformano gli ambienti delle Alpi: quello che avveniva in centinaia di migliaia di anni, ora lo possiamo osservare nel giro di pochi decenni. Eppure tutto questo non ci scuote minimamente e continuiamo imperterriti a scaricare in atmosfera i gas serra che sono la principale causa di questa mostruosità.
Glacionevato della Ciamarella (alta Val d’Ala – Valli di Lanzo – Alpi Graie – Piemonte), 31/07/2022. Video di Ivano Ravicchio durante l’escursione all’Uja di Ciamarella (3676 m) del Cai di Lanzo Torinese.
Domenica 24 luglio siamo a Plan Borgno (2700 m circa), durante una memorabile escursione organizzata dal Cai di Lanzo per festeggiare i 100 anni di vita del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Alle spalle di Mara, intenta a farsi un selfie da fine del mondo, i ghiacciai del Massiccio del Gran Paradiso. Oggi lo zero termico è sui 4600-4800 metri mentre la vetta dell’unico 4000 interamente in territorio italiano non supera i 4061 metri di altitudine. Sapessero scalare, questi ghiacciai si innalzerebbero di altri 2000 metri per poter sfuggire alla fine inesorabile inflitta dall’uomo. E per poter ancora donare, alle prossime generazioni, un selfie da fine del mondo.
Penetrata S. M. della sventura occorsa ad alcuni individui rimasti vittima dell’ingorda ferocia de’ lupi detti della Svizzera ricomparsi già nel corrente anno in qualche Provincia de’ Regj Stati, determinò nel suo sensibile, e magnanimo cuore di promuoverne radicalmente lo sterminio […].
Al termine della breve relazione che insieme ai colleghi di Città Metropolitana ho tenuto al salone del libro di Torino, alcuni presenti hanno continuato a porre domande sul ritorno del lupo, sul monitoraggio nazionale, sull’aumento e la diffusione in aree collinari e periurbane, non più solo montane. Un interrogativo in particolare ricorreva con una certa polemica: «va bene tutto, ma i nostri nonni che hanno sterminato i lupi, non potrebbero aver avuto ragione? perché noi non potremmo ritornare a una situazione come quella, senza alcun lupo in giro?»