Le antiche fiere

Lia oggi ci delizia raccontandoci della fiera che si svolgeva a Ceres un comune situato nelle Valli di Lanzo.

Scopriamo che la fiera è un luogo d’incontro, di socializzazione e perché no, di svago nelle Valli.

Lasciamole la parola.

Foto da Lou Bouletìn Ёd SérЁss

Nel passato Ceres è stato il centro principale delle Valli di Lanzo. Numerosi erano i servizi che operavano nel Comune, il più importante era la ferrovia Torino-Ceres che univa gran parte del Canavese, permettendo ai valligiani di spostarsi da un luogo all’altro e di recarsi giornalmente al lavoro nel capoluogo piemontese. Era anche utilizzata per altre necessità, specialmente quelle postali e commerciali.

Celebri erano le fiere stagionali e quelle del bestiame che si facevano tra febbraio e novembre: le più frequentate erano due, quelle dell’ultimo lunedì di maggio e di settembre.

La fiera di maggio era importantissima perché segnava l’inizio di una nuova stagione vitale per la montagna e perché in quell’occasione avveniva lo scambio e la compravendita del bestiame per la transumanza. Tante erano le bancarelle con ogni sorta di oggetti, dal vestiario agli utensili; c’erano anche lo stagnino e lo straccivendolo. Allora, infatti, nelle famiglie nulla si sprecava: quando i vestiti erano laceri e consunti, si mettevano in un sacco per conservarli e darli poi allo straccivendolo che li scambiava con le famose scodelle rosse di terracotta o con il paiolo per fare la polenta.

Altrettanto importante era la penultima fiera, quella dell’ultimo lunedì di settembre, perché chiudeva la stagione e coincideva con il ritorno a valle delle bestie. Sulle bancarelle era esposta la famosa torna d’Alp fatta col latte d’alta montagna, ove l’erba è molto più nutriente e l’aria più salubre.

I valligiani di Balme, di Ala e di tutte le frazioni sparse lungo la valle aspettavano la fiera per fare gli acquisti necessari. La gente scendeva fino a Ceres sempre a piedi: giovani, vecchi, bambini. I soldi erano pochi: si comprava lo stretto necessario, però si poteva scegliere un po’ di tutto, dal filo da cucito ai tessuti, alle scarpe, alle stoviglie; alcune bancarelle erano addirittura dei piccoli bazar.

La fiera era inoltre un valido motivo per incontrarsi. Per gli uomini era un’occasione per parlare e discutere di lavoro e di affari, per le donne era un giorno di svago, di confronto, di movimento per vedere e comprare cose nuove e per noi bambini era l’attesa del famoso torrone di nocciole che ci compravano: una vera leccornia. C’era tanta fraternità e tanta allegria perché allora bastava poco per essere contenti.

La fiera era qualcosa di speciale, di diverso dalla solita vita paesana, era una festa per tutti.

Lia Poma

Un pensiero riguardo “Le antiche fiere

  1. I racconti di Lia ci riportano sempre in un tempo perduto che, qualche volta, vorremmo poter rivivere, non sicuramente a motivo della povertà e della vita grama, ma per poterci astrarre almeno per un breve periodo, dalla vita frenetica, superveloce, sempre “connessa” che ci rende prigionieri e frastornati.
    La scodella di terra rossa doveva rappresentare una sorta di dotazione personale:ricordo il mio nonno che, nel suo dialetto canavesano, punteggiato dagli accenti finali sulle parole terminanti in vocale, mi recitava una sorta di filastrocca: “Scuela rusà, bunetta s’l’uriaà, cita t’an veute?” che traduco “Scodella rossa, berretto sull’orecchio, ragazzina mi vuoi?”. Il giovanotto non possedeva, evidentemente, nulla da offrire, se non se stesso e la sua scodella rossa. Il berretto era quello che in piemontese si chiama bunèt, nel meridione italiano coppola e che è ritornato di moda fra i giovani più all’avanguardia.
    Grazie sempre a Lia e a Serpillo per queste memorie.
    Ariela

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