Albini

AlbinaQuando lessi il libro “L’estate di Albina“, suggeritomi dall’amico Gianni Castagneri, non pensai che nel romanzo ci fosse una storia vera, quella del camoscio bianco che fu avvistato nel 1968 per poi, dopo qualche anno, scomparire a causa della proverbiale inadeguatezza umana ad abitare il pianeta Terra.

L’autore, Virgilio Giacchetto, è una di quelle persone che vorresti avere sempre con te quando scarpini sui sentieri alpini. Ma è anche una di quelle persone che vorremmo incontrare più spesso anche nella quotidianità, stante il suo grande amore per la natura e il suo vivo e limpido rispetto per gli animali che con noi condividono la vita. E soprattutto per il suo rispetto per il “silenzio”, la materia più preziosa che la montagna sa custodire, sempre che certi esemplari di esseri umani (tanti, purtroppo), con la loro alienante estraneità, riescano a starne sufficientemente distante.

E’ quel “silenzio” che noi albini reclamiamo quando l’uomo contemporaneo si avvicina alla soglia – un umile sentiero di montagna? – superata la quale dovrebbe essere in grado di intercettare il limite nel suo agire.


Testo e foto di Virgilio Giacchetto

La Valle d’Aosta si rivela terra interessante non solamente per le sue meravigliose montagne, per i laghi alpini e le vallate ricche di scorci suggestivi, ma anche per la sua fauna selvatica che da qualche tempo si è arricchita, grazie al ritorno di specie considerate estinte sull’insieme del suo territorio. Sino all’anno scorso un branco di lupi ha sfruttato come zona di caccia le tre vallate del Gran Paradiso e gli avvistamenti di diversi esemplari, nonché le tracce di predazioni all’interno e ai margini dei confini del Parco Nazionale, sono state numerose e ampiamente documentate da fotografie e testimonianze di chi ha avuto la fortuna di imbattersi in questi affascinanti animali. Si sono registrati inoltre, in particolare negli anni novanta, alcuni avvistamenti della lince e inequivocabili impronte lasciate sulla neve dallo schivo, splendido felino.

Anche i cieli si sono ripopolati di nuovi e antichi visitatori.

Sterminato dall’uomo in Valle d’Aosta all’inizio del 1900, il grande Avvoltoio degli agnelli ha iniziato ad attraversare la catena alpina alla ricerca di nuovi territori intorno agli anni ottanta, proveniente dalla vicina Savoia dove era stato reintrodotto negli anni settanta. Alla fine di luglio del 2012, Champagne, il primo piccolo di Gipeto nato in valle d’Aosta, ha lasciato il nido ed è volato nell’aria della valle di Rhêmes, quella stessa valle dove nel 1913 fu ucciso l’ultimo esemplare di Gipeto rimasto sull’intero Arco Alpino.

La presenza sul territorio valdostano di uno stambecco albino, ha incuriosito non solo i naturalisti ma tutta l’opinione pubblica. La presenza di camosci parzialmente o totalmente albini sulle Alpi èOLYMPUS DIGITAL CAMERA un fenomeno già conosciuto e descritto, soprattutto nei racconti di caccia che a volte finiscono per originare leggende che si tramandano nelle valli di montagna. Assai più rare, per non dire inesistenti, sono le segnalazioni di stambecchi affetti da questa sindrome ereditaria caratterizzata da un difetto nel metabolismo della melanina che determina assenza di colorazione del pelo, della pelle e dell’iride.

Un camoscio totalmente albino fu avvistato dai guardaparco nell’alta Valsavarenche nella primavera del 1968. Si scoprì col tempo che il piccolo di camoscio in realtà era una femmina robusta e di taglia leggermente superiore alle sue simili, la quale si aggregò ben presto al branco di camosci che stazionava in zona. Nel corso degli anni diede alla luce tre cuccioli normali. La bella camozza albina scomparve durante l’inverno del 1974, all’età di sette anni, nel pieno della sua maturità. In primavera non fu trovata alcuna traccia del suo corpo nella zona dove viveva abitualmente, fatto questo che fece pensare ad un atto di bracconaggio. Furono formulate varie ipotesi sulle cause della sua scomparsa: alcune fantasiose come quella del collezionista svizzero che ne avrebbe sovvenzionato l’abbattimento effettuato con l’aiuto dell’elicottero; altre più verosimili, raccontano di bracconieri giunti da una valle vicina che avrebbero ucciso la camozza e imbalsamato il suo corpo per tenerlo nascosto in un armadio ed esibirlo di fronte a ristrette cerchie di amici.

La fotografia della camozza bianca, che ho battezzato Albina, fu scattata in quegli anni da mio padre che all’epoca ricopriva l’incarico di Ispettore ai servizi di sorveglianza all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Adolescente entusiasta della montagna, ebbi occasione di partecipare in più occasioni a quelle battute di caccia fotografica che mi sono rimaste impresse nella mente; ricordo i contorni degli occhi e il naso rosa della splendida camozza, le corna color ambra luccicanti nel sole e il pelo immacolato come la neve dei nevai su cui spesso la si vedeva sdraiata. Il suo ritratto ingrandito, appeso ad una parete della mia casa, ha fatto nascere in me la voglia di scrivere qualche cosa su di lei.

L'estate di Albina
Foto “I camosci bianchi”

Un animale unico, particolare, la cui vista era in grado di provocare forte emozione nell’osservatore attento. Nemmeno la trentennale carriera di guardaparco di mio padre lo mise al riparo da quelle sensazioni; lui che aveva osservato, cacciato, catturato e curato un’infinità di animali, non riusciva a celare il leggero tremolio delle mani, quando nelle lenti del suo binocolo compariva Albina.

Ora forse posso capire cos’era quella meraviglia cosi intensa; forse la stessa che ho provato io stesso, quando per la prima volta ho visto lo stambecco bianco, o forse la consapevolezza di essere di fronte a un raro fenomeno della natura, in grado di far affiorare un sentimento di tenerezza e simpatia per una creatura così diversa e così uguale ai suoi simili.

Si iniziò a parlare dello stambecco bianco nell’estate di qualche anno fa, quando alcune, scellerate, riprese televisive portarono sugli schermi dei Telegiornali Regionali e Nazionali, le immagini di un cucciolo di stambecco albino inseguito dall’elicottero dei cameramen. In un gioco incosciente e crudele, lo stambecchino, visibilmente atterrito, si lanciava in una corsa sfrenata lungo dirupi e strapiombanti pareti di roccia, incalzato da quel predatore enorme e rumoroso che avrebbe facilmente potuto causarne la caduta e la morte. Ma si sa, di questi tempi lo “scoop” e il “diritto di cronaca” vengono prima di tutto!

Qualcuno volle subito battezzarlo e lo chiamò “Fiocco di neve”, altri gli diedero un nome in “patois”, più autoctono e a mio parere meno “disneyano”: “Blanzet”. Col tempo lo stambecco albino si è affrancato dal branco di femmine e piccoli con cui ha vissuto i primi tempi della sua esistenza e si è aggregato a un gruppo di giovani stambecchi che scorrazzano liberi sulle montagne che stanno fra il Vallone delle Laures e la Valle di Cogne.

stambecchi
Foto “I camosci bianchi”

Nel mese di luglio del 2010, dopo lunghe giornate di ricerche, finalmente all’alba di un giorno fortunato il giovane stambecco albino è comparso come per incanto nelle lenti del mio binocolo, su pareti di roccia friabile ad una quota superiore ai 3000 metri. Durante la lunga ed emozionante osservazione ho potuto notare che all’interno del piccolo branco di stambecchi “Blanzet” è in grado di farsi rispettare dai suoi simili, per nulla disturbati dalle sfumature rosate degli occhi e del naso, né tanto meno dal colore chiaro del suo mantello che, diversamente dal bianco immacolato della camozza della Valsavaranche, presenta a tratti macchie di pelo con sfumature più intense tendenti al color nocciola. Il suo muso bianco che spunta curioso dalla parete di roccia e che rimane ad osservarmi per diversi minuti, lanciando anche qualche fischio di sfida nella mia direzione, mi ha ricordato “l’unicorno” delle favole.

Chi nel 1974 ha ucciso la camozza bianca, oltre ad aver compiuto un atto stupido e crudele, ha tolto a tutti noi la possibilità di osservare, magari in un museo del Parco, la sua rara e particolare bellezza. Mi auguro che “Blanzet” abbia davanti a sé una lunga vita di libertà fra le montagne che l’hanno visto nascere, e che le strapiombanti pareti di roccia che hanno assecondato le sue prime acrobazie, siano in grado di proteggerlo da chi non sa né riconoscere né rispettare la straordinaria meraviglia che la natura ci ha regalato.

Virgilio Giacchetto


Il libro di Virgilio Giacchetto è stato recensito anche da Gianpaolo Castellano sul suo blog “Ventefioca”.

Altre informazioni qui (sito della Casa Editrice).

4 pensieri riguardo “Albini

  1. “Nemmeno la trentennale carriera di guardaparco di mio padre lo mise al riparo da quelle sensazioni”: non c’è il rischio di abituarsi alla bellezza e grandiosità della natura. Chi la ama veramente non si stanca mai di osservarla.

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