Camminare è magico, camminare trasforma.
(Hamish Fulton)

Cesare Ferro Milone (1880 – 1934) – Escursione sulla mulattiera di Malciaussia – Anni ’20 – inizio anni ’30 (Museo Civico Alpino «Arnaldo Tazzetti» di Usseglio). Alta Valle di Viù, Valli di Lanzo.
Difficile oggigiorno posare i piedi su mulattiere così tirate a lucido nelle Valli di Lanzo. Ma questi erano sentieri per montanari, non per escursionisti. Ed era la normalità.
Quante volte ci siamo lamentati perché i sentieri sono disagevoli, in stato di abbandono, sovente ricoperti da uno spesso strato di foglie secche che celano insidie (pietre, acqua, ghiaccio…), soprattutto quelli che iniziano dal fondovalle ed attraversano i boschi? E chissà quante volte abbiamo bestemmiato mentre cercavamo di non scivolare.
Sono convinto che tanti escursionisti credono che i sentieri delle Valli di Lanzo siano così da sempre. Per molto tempo è successo anche a me di ritenere che non si poteva chiedere di meglio da quello che vedete nella foto seguente.

In queste condizioni si progredisce senza vedere eventuali ostacoli tra i piedi: li si può solo sentire.
Ho seguito per molti anni sentieri con il mio zaino stracolmo di ignoranza, credendo che i poveri montanari di un tempo non potessero nemmeno permettersi di vedere dove mettere i piedi. L’ho creduto con tracotanza urbanocentrica, indossando super scarponi e super abbigliamento tecnico, dando per scontato che anche i vecchi camminassero con i piedi in qualche modo protetti e con tutte le false sicurezze del nostro mondo appiccicate addosso.
E’ inevitabile posare i piedi nelle Valli di Lanzo con insolenza. La città, in fin dei conti, dista solo un’ora di rotolamento degli pneumatici, più o meno 50 chilometri.
Nel tempo, se si ha voglia di leggere qualche libro, di ascoltare i vecchi (sempre di meno, purtroppo), di perdersi nella lentezza del bosco, si arriva a comprendere che quei sentieri, di cui sui social magari ci vantiamo di percorrere, non lo sono più. Sono sentieri dell’abbandono, della decadenza, dei cambiamenti climatici e dell’ignoranza.
Le genti alpine – quelle che hanno fatto le montagne – camminavano spesso scalzi, con qualche decina di chili sulle spalle e non di certo per passare del tempo libero.
«Tutti facevano calze, ma taconà no! Una garbina di letame, un bambino in braccio e, mentre andava, taconava!!!».
…mentre andava (mentre camminava), rattoppava!!! (cit. dal post “Il paesaggio negato“).
Ci proviamo noi, con le nostre certezze appiccicate addosso, a fare un’escursione su un sentiero come quello in foto qui sotto, con una garbina o una gerla stracolma (pesante anche 50 chili ed oltre), un bambino in braccio e nel mentre rattoppiamo?

Il sentiero 319 della Val Grande di Lanzo è un caso scuola. L’ho percorso molte volte negli ultimi 20 anni e sempre, nel tratto iniziale, sono sprofondato nelle foglie, con difficoltà a stare in piedi, soprattutto in discesa. Tanti sentieri sono in queste condizioni, in particolar modo quelli che partono dal fondovalle, dove si incontrano le aree boscate popolate da alberi caducifoglie (faggi, castagni, roverelle, aceri, frassini, ontani…).
Ma poi un giorno trovo una sorpresa.













Cos’è successo?
L’escursione è del 27 novembre 2016 e per capire cosa è riuscito a pulire la mulattiera dalle foglie bisogna leggere le previsioni meteo dei giorni precedenti (cliccare sull’immagine seguente):

Per far emergere l’antica mulattiera, comprendendo poi che le antiche vie di pietra dei montanari sono in verità meravigliosi e comodissimi cammini, in questo caso vere e proprie scalinate, è stato necessario un diluvio.

Un diluvio che ha fatto scorrere l’acqua con imponenza sul “sentiero disagevole per gli escursionisti”. E non basta ancora, probabilmente, perché la terra accumulata in anni e anni di abbandono (osservate le foto), non ci permette di ammirare nella sua intera bellezza questa mulattiera, che parte dall’asfalto della provinciale per Forno Alpi Graie.
Non credo di sbagliarmi se immagino così tutti i sentieri delle Valli di Lanzo che partono dal fondovalle e che un tempo costituivano l’ossatura principale della viabilità pedonale, utilizzata per raggiunge i pascoli, le miniere e le dimore temporanee che consentivano la pratica della transumanza e lo sfruttamento dei terrazzamenti.











Avete appena visto cosa nascondono le foglie in un percorso scelto “al libero” in Val d’Ala, scendendo da Pian Fè (1230 m; Comune di Ceres) ed abbandonando la sterrata che sale da Almesio, nel fondovalle. La scommessa di provare a scavare tra le foglie, per vedere cosa nasconde l’abisso, è stata vinta. Era marzo del 2017 e di seguito potete vedere il percorso compiuto per rientrare ad Almesio (linea rossa), evitando la pista e seguendo le flebili tracce che ancora si possono scovare, se si ha il coraggio di abbandonare le “autostrade”.

Immaginate la meraviglia di camminare su quella mulattiera, se fosse completamente ripulita.
Per chi pensa di fare escursionismo, non dovrebbe essere difficile accorgersi che il percorso della pista (in bianco) è assolutamente illogico. I vecchi posarono vie che dovevano essere le più rapide e facili per ottenere il massimo con il minor dispendio di energie possibile. Percorrendo a piedi la strada per raggiungere la vetta di Testa Pajan, si fa esattamente l’opposto e con questo comportamento emerge un totale assoggettamento dell’escursionismo alle logiche di pianura.
Ma quello della linea rossa non era escursionismo. Era un filo della rete vitale per la sopravvivenza dei montanari, creata dalla cultura del cammino e dei sentieri.
Che idea avete adesso della montagna?
Il Club alpino italiano, per non fare morire definitivamente questa Montagna, negli anni si è “inventato” l’Escursionismo, come pratica culturale per resistere all’abbandono. Il “braccio armato” di questa resistenza è la manutenzione dei sentieri: dovreste vederli appena passano i volontari coi soffiatori. Ma dura poco, purtroppo, perché ci sono concause strutturali che ci impediscono di poter camminare come i montanari di un tempo, su vie gradinate e lastricate, dove addirittura poterci andare a piedi nudi (oggi qualcuno si cimenta, ma non di certo su vie inabissate dall’abbandono).

Non pensate che il dotare i sentieri di segnaletica verticale ed orizzontale sia sufficiente per poter rianimare la cultura del cammino e dei sentieri: i nostri vecchi non ne avevano bisogno e il motivo è sempre lo stesso. Le loro erano vie perfette, manutenute costantemente, come quella che avete visto nella foto iniziale di Cesare Ferro Milone.
Le concause che hanno fatto inabissare la rete della viabilità storica pedonale:
– l’abbandono della montagna (a seguito dell’inurbamento storico);
– l’avanzata del bosco (spessi strati di foglie secche che ricoprono le mulattiere);
– i cambiamenti climatici: assenza di spessori significativi del manto nevoso a bassa quota con temperature che ne favoriscono il mantenimento durante la stagione invernale: provocherebbero lo schiacciamento delle foglie con conseguente decomposizione nel periodo del disgelo; periodi prolungati di siccità;
– mancanza di adeguate risorse economiche per mantenere pulita e funzionante la viabilità pedonale storica (i soli volontari del Cai sono abbondantemente insufficienti, per quanto la loro opera sia encomiabile).
Un mondo sommerso dall’abbandono, dall’incuria, dall’ignoranza e dai cambiamenti climatici provocati da Sua Maestà Homo sapiens.
Bestemmiare per lo stato di degrado dei sentieri montani è una bestemmia verso chi si è spezzato la schiena per costruirli perché le condizioni attuali sono determinate dai nostri comportamenti, profondamente sbagliati e decadenti (credere che bruciare fossili all’infinito, rintanandosi in centri urbani asfissianti, sia il miglior modo per garantirci un futuro, così come credere che si possa fare a meno di una montagna presidiata da chi ritiene che il camminarla – magari proprio a piedi nudi – sia il riflesso dell’esistenza stessa della montagna).

Camminare sulle vecchie vie è una cultura (un potente nutrimento per il cervello), l’unica che possa permetterci di creare paesaggi (alleanze uomo – natura) sostenibili e vivibili, contenitori di avvenire, uno stimolo potente anche per la sopravvivenza delle metropoli.
Perché i montanari potevano camminare a piedi nudi mentre in città non possiamo farlo, essendo tra l’altro in piano? Il non poterlo fare è un segno di profonda inciviltà e degrado: i marciapiedi di Torino, ad esempio, sono immondi, latrine per cani, puzzolenti discariche a cielo aperto (immaginate quando non piove decentemente per dei mesi… pensate all’urina, e altro, di Fido che nessuno lava… agli scarichi incessanti di auto e camion…).
L’uomo sarà pure l’animale piú nobile, però è sporco e contamina.
(Anacleto Verrecchia, 1951)
Con la nostra accidia siamo pure riusciti a “sporcare” una cultura potente che quelli del Cai cercano ancora di mantenere in vita: vorrà pure dire qualcosa, no?
Ma dove conduce quella bellissima mulattiera che parte da Borgo e si palesa solo dopo le alluvioni?

Finché potrò, non smetterò mai di tentare di rintracciare e poi testimoniare l’immane fatica dei vecchi montanari, ampiamente spalmata su queste montagne, perché mi permette di comprendere, apprezzare ed amare il meraviglioso ambiente naturale ed antropico delle Alpi. E di questo a loro sono profondamente grato, così come lo sono verso chi gratuitamente cerca di renderlo ancora accessibile.
Le più attuali teorie paleoantropologiche sostengono che lo sviluppo del cervello iniziò “dai piedi”, ossia dal modo di camminare.
Forse adesso avete qualche risposta alle domande che attanagliano la nostra epoca.
Quando mi tocca fare i conti con la meteorologia e con il clima, come sempre devo ringraziare il caro amico Daniele Cat Berro della SMI – Nimbus che sopporta con estrema gentilezza le mie richieste.
In più occasioni, per lavoro e per diletto, ho potuto osservare, o meglio intuire, le reti di sentieri che collegavano piccoli nuclei di case ormai diroccate e abbandonate in mezzo al bosco. Sopra Coassolo ci sono km e km di sentieri e mulattiere che ormai nessuno percorre più, ma io trovo abbiano un grande fascino ed un valore storico-sociale enorme.
Giacomo Re Fiorentin
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Grazie per questo articolo, cultura è conoscere, non basta camminare come dei ‘bamba’ sui sentieri di montagna macinando dislivelli.
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Sono d’accordo.
Grazie a te!
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Le tue riflessioni sono sempre molto interessanti. I sentieri un tempo erano necessari, così come erano necessarie le foglie cadute a terra che venivano raccolte e impiegate in mille modi diversi. La manutenzione dei sentieri, la pulizia e il contenimento dei boschi erano funzionali all’economia di mera sussistenza e quindi alla sopravvivenza stessa delle popolazioni. Ora non lo sono più. Fino a che non si riaffermerà questa antica “necessità” – anche solo come proposta turistica per metropolitani – la pulizia dei sentieri sarà sempre una lotta impari contro l’incuria e l’oblio. Lotta che sono ben lieto, tuttavia, nel mio piccolo, di sostenere, ogni volta che scosto un ramo, taglio un rovo, innalzo un ometto o libero uno scolo di acqua. In questo mi riallaccio al commento della “camoscia” che ha scritto prima: hai ragione amica, quanti ultra runner o semplici “cronomen di salite con occhio ai tempi della guida CAI” si fermano un attimo anche solo a spostare un ramo caduto a terra? si fa prima a scansare di lato e poi lamentarsi che ci sono pochi segnavia e il sentiero non si vede.
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Grazie GP, purtroppo la nostra è la società dominata dalla competizione e dalla sportivizzazione e pochi riescono a sfuggire a questa “tenaglia”, almeno nel tempo libero che, come disse Annibale Salsa, dovrebbe essere “tempo liberato”: respirare, aprire gli occhi e procedere con lentezza per dare il tempo al nostro cervello di elaborare sensazioni, osservazioni, odori, rumori… Soprattutto per avere il tempo di farsi domande.
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Nel Duemila, dopo la disastrosa alluvione, volli andare a vedere quanto rimaneva del Ponte delle Scale, in Val d’Ala. In riva sinistra non si scorgeva più nulla! (non mi vergogno a dire che piansi). Però le acque torrenziali avevano ripulito la secolare mulattiera percorsa da generazioni prima della costruzione della provinciale e di cui in precedenza non rimaneva traccia. Il ponte per incuria e colpa di molti non è stato ricostruito, la mulattiera sarà nuovamente sepolta.
Concordo pienamente con coloro che hanno scritto prima di me: con mio marito percorriamo i sentieri con una piccola roncola e facciamo quello che ci è possibile. I tempi CAI ci fanno sempre sembrare inadeguati, ma non ce ne curiamo. Preferiamo curare il territorio o perlomeno quello che rimane!
Ariela
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Amo molto il concetto di sentiero e quasi sempre quando ne percorro uno mi domando in quali tempi affondi le sue radici, e quali piedi o zampe siano stati i primi a impostarlo.
Trovo che il sentiero sia sempre un che di rassicurante: qualcuno è già passato di lì
Immagino conoscerai l’Associazione Sentieri Alta val Malone. Sono attivissimi. La rete di sentieri sopra Corio e Rocca è notevolmente recuperata.
Daniele
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Grazie, è bellissimo quello che scrivi: un sentiero è rassicurante perché ti indica una via, un percorso per rintracciare una cultura magnifica che sapeva resistere in ambienti duri e complicati. Loro certamente sapevano cosa voleva dire essere resilienti, anche senza conoscere questo termine. Perdere le antiche mulattiere è davvero inaccettabile, soprattutto quando vengono soppiantate dalle sterrate: si perde definitivamente la cultura del cammino e del sentiero, per far posto a quelle della auto e delle strade.
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