Una storia poco conosciuta sulle montagne di Gian Piero Motti

pista forestale tra Pera Bereghina e Castello
Un tratto di una delle due piste del progetto definitivo. Cliccarci sopra per ingrandire.

Grazie ad un commento dei “Rocciatori Val di Sea“, lasciato sul post “Nel vallone di Trione”, veniamo a conoscenza di questa tristissima notizia per noi che apprezziamo molto i paesaggi delle Valli di Lanzo e tanto ci impegniamo per farli conoscere:

«[…] a proposito di Rivotti e Alboni… prepariamoci a due nuove strade: una che collega Pera Berghina ai Ghielmi che si sovrapporrà all’attuale sentiero balcone e l’altra da Alboni alle Benne quindi a Roci Ruta e alla Vaccheria, per raggiungere i Pasè con largo tornante e infine Pian delle Riane (!!!). I lavori inizieranno tra breve.»

Questa strada è dal 1998 che si cerca di fare in Val Grande (siamo nel territorio del Comune di Groscavallo, in provincia di Torino). Ne siamo venuti a conoscenza qualche tempo fa grazie ad un articolo dell’avvocato Fabio Balocco, consigliere di Pro Natura.

Del progetto relativo a questa pista carrozzabile nel 2011 si è interessato anche il WWF, qui il link.

Poi più nulla.

Abbiamo saputo da alcuni testimoni che le ruspe sono entrate in azioni da qualche settimana partendo da Pera Berghina (1564 m) che si trova a nord dei Rivotti (versante a mezzogiorno della Val Grande di Lanzo).

Adesso proviamo a capire come mai in Italia ci sono buone leggi ma vengono sostanzialmente e tranquillamente “scavalcate”.


VALLONE DI UNGHIASSE

Una storia conosciuta da pochi

La storia

Il Vallone di Unghiasse è un vallone sito sulla sinistra orografica della Val Grande di Lanzo, nelle Alpi Graie Meridionali.

Nella parte bassa esso è colonizzato da un bosco misto con diverse essenze, dal faggio alla betulla al larice. Sopra al bosco segue un pianoro (Pian delle Riane), e sopra ancora seguono balze rocciose disseminate di piccoli alpeggi che preludono ad una zona lacustre che racchiude ben tre laghi, il Lago della Fertà, quello di Unghiasse ed il Lago Grande di Unghiasse.

Vaccheria
Vaccheria (1630 m). Una delle due piste dei progetti definitivi passa poco sotto questo alpeggio. L’altra a monte del Bec di Roci Ruta (a sinistra nella foto)

Questa descrizione vuol dire tutto e non vuol dire niente. Bisogna andarci nel Vallone di Unghiasse per capirne ed apprezzarne la bellezza sublime. Difficile trovare in tutto l’arco alpino occidentale una zona così ricca di ambienti e così intatti.

Ciò detto, si può immaginare il terrore che colpì me ed altri amici che condividono con me l’amore per l’ambiente montano, quando, nel dicembre del 1998, venimmo a sapere che la Regione Piemonte aveva autorizzato una pista (strada in terra battuta) che avrebbe dovuto risalirlo per buona parte, al fine di raggiungere degli alpeggi, peraltro abbandonati (!) siti nello splendido Pian delle Riane.

Pian delle Riane
Il bellissimo Pian delle Riane (1800 m circa) visto dal sentiero n. 323 per il Gran Lago di Unghiasse. Una pista sbuca proprio su questo splendido pianoro.

La prima cosa che facemmo fu il procurarci la delibera autorizzatrice e ci accorgemmo che essa contraddiceva in pieno una precedente delibera, del 1994. Nel 1994, per una pista lunga 4.640 metri, di larghezza tre metri e piazzole ogni duecento metri, l’autorizzazione era stata negata con la seguente motivazione “considerato che la pista in oggetto determinerebbe una grave ed irreversibile modificazione dello stato dei luoghi, con negativi effetti diretti ed indiretti sugli stessi”.

Nel 1998, per una pista lunga 4.640 metri, di larghezza 2,5 metri e piazzole ogni quattrocento metri, l’autorizzazione veniva rilasciata con la seguente motivazione “la realizzazione proposta, se condotta con opportuni accorgimenti atti a mitigare il più possibile l’incidenza dell’intervento sul territorio, può essere eseguita senza alterare il contesto ambientale della località“ (!).

Pasè
Il “Pasè” ovvero la pecceta dove transiterà una delle due piste forestali. Foto presa dal Bec di Mea (Bonzo, Val Grande di Lanzo)

Ciò ci indusse, come associazioni ambientaliste, Federazione Nazionale Pro Natura e WWF, a dare mandato ad un avvocato affinché impugnasse la delibera.

Sconfortante fu l’esito del primo grado di giudizio. Il TAR Piemonte, infatti, respinse la richiesta di sospensiva della delibera ritenendo “che, nel bilanciamento degli interessi, appare prevalente l’interesse pubblico posto a base del provvedimento impugnato rispetto a quello privato fatto valere dai ricorrenti” quasi che le associazioni ambientaliste fossero state proprietarie del vallone e non già portatrici di interessi dell’intera collettività!

Per fortuna, l’esito del primo grado fu ribaltato dal Consiglio di Stato, nel mese di giugno del 1999, il quale sospese il provvedimento autorizzatorio.

Carta escursionistica della zona interessa dalle piste
Carta escursionistica della zona interssata dalle due piste forestali (da Pera Berghina al Pian delle Riane; zona del Bec di Mea e del Bec di Roci Ruta)
Il conflitto fra ecologia ed economia

La piccola storia che ho appena raccontato è, nel contempo, esemplare ed unica.

Perché esemplare? Perché essa dimostra come, purtroppo, l’Italia sia piena di buone leggi, spesso però totalmente disapplicate, e spesso proprio da parte di quella Pubblica Amministrazione che dovrebbe porle in essere e vigilare che siano osservate. E’ qui il caso della normativa sul vincolo paesaggistico, risalente al 1939 ma “resuscitata” dal cosiddetto “decreto Galasso” (in realtà, legge n. 431 dell’8 agosto 1985), che estese il vincolo paesaggistico ad intere categorie di beni, tra i quali le montagne sopra al limite dei 1.600 metri.

Purtroppo, così come la legge originale non aveva dato i frutti sperati (si pensi, a titolo di esempio, che il Breuil a Valtournenche era una zona protetta da un apposito decreto e poi ci costruirono Cervinia!), non ottenne migliore sorte il decreto Galasso. Alla fin fine, esso diede un po’ più di lavoro a chi voleva costruire nelle zone vincolate, dato che doveva chiedere un’autorizzazione in più, ed alle Regioni, deputate a rilasciare (quasi sempre) o a negare (quasi mai) l’autorizzazione. La morale è che se politici e funzionari avessero anche solo un compiuto senso del bello (non dico dell’ambiente) non commetterebbero le nefandezze che commettono.

Bec di Roci Ruta
Bec di Roci Ruta. Sullo sfondo il “Pasè”

La storia di Unghiasse dimostra appunto che, a fronte di una motivazione economica, o presunta tale, qualsiasi bene ambientale rischia di andare distrutto. E questo ad onta della normativa che lo dovrebbe proteggere e ad onta dello stesso insegnamento della Corte Costituzionale, il custode delle leggi, che più volte ha avuto occasione di affermare, giustamente, che il bene ambientale deve venire prima del bene economico.

Perché unica? Perché, a mia memoria, questo è stato l’unico caso in cui le associazioni ambientaliste sono riuscite a salvare una zona di montagna ricorrendo all’arma giudiziaria.

In particolare, le piste agro-silvo-pastorali

La vicenda del Vallone di Unghiasse si presta però anche ad una considerazione più specifica, relativa alle condizioni di vita negli alpeggi dell’arco alpino occidentale. Infatti, nella parte alta del Vallone (che peraltro la pista non avrebbe servito) sono tuttora attive alcune malghe, e le condizioni di vita nelle stesse non sono certo delle migliori. Si potrebbe eccepire che qualcosa bisogna pur fare in un caso del genere per salvare l’attività economica o, quanto meno, per renderla meno onerosa.

Ed io mi posso trovare d’accordo con questa osservazione. Quello che non posso accettare è che in casi del genere l’unica soluzione concepita sia un collegamento stradale con il fondovalle (sarebbe come dire che tutti i rifugi custoditi debbono essere raggiunti da strade!), e, purtroppo, solo questa, sistematicamente, è stata la soluzione proposta dai privati ed accettata dalla Pubblica Amministrazione.

Io invece dico: in primis, tuteliamo l’ambiente (come peraltro afferma la legge), l’ambiente, che è un bene unico e che una strada non può che rovinare definitivamente. In secundis, valutiamo se e come si possa altresì tutelare l’attività economica.

strada sterrata in costruzione

Purtroppo, fino ad oggi, non si è ragionato in questo modo e, volendo monetizzare il bene ambiente (anche se questo è brutto), si può affermare che forse non vi è nessuna attività economica che sia costata così tanto alla collettività quanto la pastorizia di montagna. Per limitarsi al Piemonte, ricordo il caso della pista che ha distrutto l’incantevole fondo della Valchiusella per raggiungere un isolato alpeggio dove operava un’unica famiglia.

Eppure ci sarebbero tanti modi per salvaguardare le attività economiche e l’ambiente dove esse operano. Sicuramente, innanzitutto, si possono modernizzare gli alpeggi e migliorarne le condizioni igieniche. Per fare ciò, i materiali in quota possono essere trasportati per via aerea o, al limite, possono essere realizzate apposite teleferiche. Sempre nell’ottica di migliorare lo standard abitativo, si possono poi prevedere metodi di produzione di energia elettrica in loco, sfruttando acqua, sole e vento. Come estrema ratio, venendo alle vie di comunicazione, si può sempre ricorrere, piuttosto che alle piste per autoveicoli, a quelle per piccoli trattori od agli impianti a fune. Occorre ricordare, a mero titolo di esempio, che le attività di alpeggio nelle aree protette proseguono, quasi sempre senza che vi siano collegamenti viari.

Bec di Roci Ruta
Pasè e Bec di Roci Ruta alla cui destra, alla quota di 1800 m circa, si apre lo splendido Pian delle Riane

E’ chiaro che gli oneri per le migliorie non dovrebbero gravare sui margari, ma sulla mano pubblica. A tale proposito, una specifica normativa in materia di piste ad uso agro-silvo-pastorale, sarebbe quanto mai opportuna. In Piemonte, ad esempio, nell’ambito della normativa sul vincolo idrogeologico, esisteva una norma che prevedeva che l’amministrazione dovesse valutare le alternative ad una pista, quando fosse stata richiesta. Peccato che quella buona norma sia stata poi abrogata col bel risultato che oggi i competenti uffici non hanno più la possibilità di fare una comparazione fra la pista ed altri mezzi.

In generale, nel merito, consiglio la lettura del saggio “Piste o peste”, edito da Pro Natura Torino, che sviscera il problema e suggerisce le soluzioni. (1)

Un sogno durato quarant’anni

Il Vallone di Unghiasse è una meta molto ambita dagli escursionisti. Ma pure dai pescatori, anche se la ricchezza di pesci nei laghi (salmerini e trote) è frutto di immissioni.

In proposito, ricordo l’aneddoto raccontatomi di un pescatore che, andando a pescare di notte, “arpionò” una barca di altri pescatori. Vero, falso? Chissà. Carino, però.

Di sicuro c’è che qualcuno sul Lago Grande di Unghiasse ci ha navigato in canoa. Quel qualcuno è Ezio Capello, anni 72, che quando mi parla al telefono, nel settembre del 2006, sta per partire per il Monte Rosa per fare alcune ascensioni alpinistiche.

Gran Lago d'Unghiasse
L’incantevole Gran Lago d’Unghiasse (2500 m circa) è il più esteso specchio d’acqua naturale delle Valli di Lanzo (600 metri la lunghezza)

“Da bambino, durante la guerra, io vivevo con la famiglia a Bonzo (NdA, frazione di Groscavallo). Un giorno, avevo 9 anni, nel luglio del 1943, salii con mio padre al Lago Grande di Unghiasse, e ne rimasi talmente colpito da pensare che un giorno avrei dovuto navigarlo su una canoa indiana. Un sogno durato più di quarant’anni. Passati i quali costruii la canoa e, nell’estate del 1991, con altri quattro amici e due muli che portavano la canoa, salimmo, risalendo il Vallone della Vercellina, fino al Colle della Crocetta, da dove, abbandonati i muli, portammo a spalle la canoa sul Colle della Terra, ridiscendendo al Lago della Fertà e raggiungendo infine il Lago Grande di Unghiasse. Fu un’esperienza indimenticabile navigare sulle sue acque. Il lago è lungo quasi un chilometro, largo 120 metri, ma, soprattutto, raggiunge la profondità di 40 metri, eppure dalla superficie, data la limpidezza delle acque, il fondo si vede benissimo. Esso è cosparso di roccioni e ti dà un grande senso di vertigine. Dopo, rifeci esperienze analoghe sopra altri laghi, e raccolsi le storie in un libro.” (2)

L’itinerario

L’itinerario che descrivo di seguito è in parte circolare e permette di visitare i due laghi più grandi del Vallone. Pressoché per tutto l’itinerario, la vista spazia sulle cime site al fondo delle Valli di Lanzo, Uja di Ciamarella, Uja di Bessanese, Cima d’Arnas, Croce Rossa. Il sentiero è ben visibile, salvo che nel tratto dall’Alpe del Laietto al Lago della Fertà, dove occorre seguire solo il segnavia.
Con l’auto raggiungere la frazione San Grato (metri 1.400), sopra Pialpetta, comune di Groscavallo, splendido belvedere sulla testata della valle.

Panorama verso sud
Salendo ai laghi d’Unghiasse. Da destra: Uja di Ciamerella, Bessanese, Punta d’Arnas, Croce Rossa e Torre d’Ovarda

Da qui si diparte la mulattiera, con segnavia bianco e rosso, che sale con modestissima pendenza fin quasi a raggiungere il Bec di Mea. Qui una piccola deviazione si impone per raggiungere la sommità di questo panettone di granito che domina la valle. La salita si effettua con una brevissima, elementare arrampicata.

Dopo, la mulattiera piega verso nord mantenendosi all’interno di uno splendido bosco misto.

Superata una cappella votiva, si raggiunge un magnifico pianoro solcato da rivi all’altezza di circa 1770 metri. E’ il Piano delle Riane, già citato sopra, e che avrebbe dovuto essere meta della pista. Da qui la mulattiera cede al sentiero. L’itinerario, non più nel bosco, risale più ripido la sinistra orografica del vallone, e, puntando poi dolcemente verso nord, raggiunge prima l’alpeggio Gias Vecchio e poi l’Alpe del Laietto (splendida vista del laghetto in primo piano e dell’Uja di Ciamarella sullo sfondo).

Da qui, anziché continuare sul sentiero col segnavia bianco e rosso, seguire il segnavia rosso, che si diparte sulla sinistra. Si raggiunge così l’Alpe Becco degli Uccelli ed il Lago della Fertà (metri 2557), ai piedi del canale che conduce al Colle della Terra, da cui, attraverso il successivo Colle della Crocetta, si può scendere in Val Locana.

Dal lago, girando a destra, si riprende il segnavia bianco e rosso. Superato un piccolo dosso, si scende al bellissimo specchio lacustre del Lago Grande di Unghiasse. Attenzione, al lago un cartello indica la quota 2648 m: è errata, la quota è metri 2494.

Dal lago, sempre seguendo il segnavia, ridiscendere all’Alpe del Laietto e, da qui, per il sentiero di salita, tornare all’auto.

Dislivello in salita circa m 1180 m. Tempo totale circa sette ore.

Fabio Balocco


1) Balocco, Gubetti, Perotto – Piste o peste – Edizioni Pro Natura Torino, Torino, 1994
2) Ezio Capello, Asini, muli e canoe, Editrice San Rocco, Grugliasco (TO), 1994


E adesso cosa è successo?

Torneremo a parlarvi della pista Pera Berghin – Castello (e di quella che dovrebbe raggiungere il Pian delle Riane) con ulteriori foto di questo bellissimo percorso che fa parte del Sentiero Balcone della Val Grande.

Le foto, questa volta, saranno quelle di chi sa dar voce al silenzio delle montagne delle Valli di Lanzo.

6 pensieri riguardo “Una storia poco conosciuta sulle montagne di Gian Piero Motti

  1. Ma intanto il comune di Groscavallo ha fatto 3 depliant turistici che fa pagare 1,50 euro l’uno di cui uno dei sentieri, con una cartografia grossolana zeppa di errori orografici gravi, descrizioni di gite fantasiose che denotano una pessima conoscenza dei luoghi, per non parlare di foto delle gite che non attengono al luogo indicato. Mi risulta che questo lavoro sia stato fatto ancora una volta senza coinvolgere gli esperti locali che avrebbero sicuramente evitato l’ennesima bruttura dettata dal fai da te poco competente. Qualcuno lamenta anche di foto letteralmente rubate ed attribuite ad altri autori! Ma la chicca è che per avere informazioni del Bivacco Ferreri Rivero è riportato un numero del Cai Centrale di Milano, ignorando che il rifugio è in affido al CAAI occidentale ed è proprietà del Cai Torino! Se lo vede il Blatto con quello che si è sbattuto in questi anni per rimetterlo in piedi (e che ne è in pratica il custode e che abita a Cantoira) questa volta gli parte l’embolo! E che dire del Col Girard per raggiungere il quale bisognerebbe superare terrazze con rododendri (!!). Di Sea, uno dei gioielli della Val Grande, due parole scarne (e anche qua il Blatto….) mentre meriterebbe un depliant a se stante se solo in comune sapessero qual’è il valore naturalistico del luogo. Forse ne parleranno per l’ennesima strada!
    Giorgio

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    1. Non mi stupisco di quanto racconti. In Italia manca la cultura dell’escursionismo.

      Intanto le ruspe si portano via i sentieri della zona di Pera Berghina, come ovviamente è sempre stato fatto anche in passato, spedendoti così, senza appello, a camminare su di una sterrata.

      Ma l’escursionista che arriva dalla città vuole abbandonare le strade per camminare su sentieri. Le Valli di Lanzo sono già appestate di piste varie e sentieri devastati.

      E’ una vergogna che nel XXI secolo, tra l’altro in un Paese come l’Italia fatto di montagne, non si rispetti la viabilità pedonale sulle Terre alte.

      In Svizzera è vietato per legge abbattare un sentiero per costruirci una pista. Se proprio deve farsi, allora è obbligatorio ripristinare il sentiero (su altro tracciato).

      E non parliamo della devastazione del paesaggio (bene tutelato dalla nostra Costituzione…) e delle future gare da trial e motocross che utilizzeranno queste strade…

      Parleremo ancora di queste piste e della miseria di queste vallate.

      Grazie del commento.

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  2. Vi ricordiamo domani sera la serata su “Vallone di Sea, storia, mito e proposte di valorizzazione e tutela” presso l’albergo Pialpetta alle ore 21. E’ l’ultimo baluardo di selvaggità della nostra valle, vorremmo che restasse tale…

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  3. “Cui prodest?” ci diceva sempre il nostro professore di storia nei lontani anni Sessanta quando chiedeva di interpretare un avvenimento. “A chi giova”?
    Leggendo della costruzione di una pista nella stupenda zona sovrastante Alboni-Rivotti ed essendo rimasta esterrefatta, mi sono posta la domanda. Non sono riuscita a trovare una risposta che avesse “onestamente” senso. L’alpeggio di Pera Berghina e l’insediamento della Costassi sono già collegati entrambi: dunque perché costruire un’ulteriore pista distruggendo una delle più belle zone delle Valli? E che dire del Pasé, ultima grande pecceta rimasta in tutte le valli di Lanzo? Negli altri luoghi montani creano riserve, parchi o semplicemente curano di proteggere le meraviglie che la natura ha gratuitamente offerto. Noi impieghiamo energie e risorse di denaro (quanto potrebbero essere meglio spesi, ad esempio per curare le disastrose strade che risalgono le valli, zeppe di buche, un vero percorso di guerra) per distruggere ambienti incontaminati. E poi vogliamo che i turisti portino soldi? E cosa diamo in cambio? L’aria buona? Non basta, signori, non basta!
    Non so perché continuo ad amare così tanto queste montagne, forse perché da esse traggo le mie origini, ma grande è la voglia di abbandonarle per non dover più soffrire oltraggi come questo.
    Mi ripeto: “Cui prodest?” : temo di aver trovato parecchie risposte, ma non posso scriverle per ovvi motivi. Provo solamente vergogna di appartenere a una nazione simile.
    Ariela R.

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    1. Condivido in pieno il tuo commento.
      Tutte le volte che sento parlare di “strade” che devastano zone percorse da sentieri escursionistici, non ho più lo slancio per tornarci. E’ come un automatismo: ne sento la violenza e la stupidità.

      E ho solo voglia di starne alla larga.

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