Le mie Valli di Lanzo

valli di lanzo

Ho incontrato virtualmente Francesco Paolo Mancini (@fpm_man10) grazie a Twitter. Lui abita a Roma e non conosceva le Valli di Lanzo. Le foto delle Valli che ho twittato negli ultimi mesi, con i soli 140 caratteri ammissibili da Twitter, hanno sorpreso molti follower che cercano il bello della nostra Italia. Ne sono molto felice perché queste montagne stupende meritano di essere apprezzate, sempre di più, soprattutto da chi non ci vive.

Buon Compleanno Francesco e grazie per averci trasmesso il tuo sguardo sulle Valli di Lanzo, con la speranza di ritrovarci presto per volare tutti insieme su bellissimi sentieri.


Testo di Francesco Paolo Mancini*

Volavo (invece camminavo): sul ghiacciaio e tra i picchi di roccia nera, attratto dal blu del cielo a 3000 metri, risucchiato dall’Infinito: fu quando alzai lo sguardo dai buchi nel ghiaccio lasciati dalla guida, e mi guardai intorno. Mi fermai e sentii il cuore che correva: ero stanco, ma era per l’emozione. Lasciai andare il peso sulle braccia appoggiate alla piccozza. Sorrisi. Risi. Felice!

Non le conoscevo, prima, le Valli di Lanzo. Mille e mille passi di una vita. Per arrivare qui. E guardarmi intorno: vedo un’immagine di piccoli uomini fra roccia e nuvole: “L’immenso che è dentro di voi” Sì, è vero. Poi un’altra immagine: vicino la roccia nera. Lontano, blu-profondo, e ghiaccio verso il cielo: “Gran Paradiso (4061 m)” Poi “La vetta dell’Autour (3020 m.), il maestoso gruppo Lera-Sulè della Val di Viù, l’imponente parete Sud dell’Uja di Ciamarella (3676 m)”. “Il bellissimo Parco Orsiera-Rocciavré dal quale si intravede il Rocciamelone (3538 m)”. “Il bellissimo Lago della Rossa (2718 m), il più grande lago artificiale delle Valli di Lanzo”,… Ma prima di arrivare, con la buona stagione, fin quassù, ho visto le Valli d’inverno. Le Valli: da dove la montagna ‘sta sopra’, e forse oggi non ce la fai a vincere il freddo e la nebbia. Ma vivi la vita che c’è adesso: batti i piedi, ti scaldi le dita col fiato, saluti con la mano ed il sorriso il vicino che esce per andare al lavoro. Tutto è grigio, in questi giorni, ma vero: le cose sono disegnate a matita nera sul bianco, non puoi sbagliare. Eppoi “Per molti è brutto tempo. Per noi è adattamento. Solo così si può vivere il nostro pianeta.” Perché il ‘brutto’ è relativo al ‘bello’ ideale per la performance che vorresti e non puoi avere: la sciata una pista dopo l’altra o tre-cime-tre in tre giorni, e proprio in quei tre giorni che hai deciso tu. E non parliamo solo di sci o di alpinismo, ma pure di trekking, perché, come ha detto Enrico Camanni su La Stampa descrivendo la diserzione degli Italiani alla Grande Traversata delle Alpi: “In genere confondiamo l’escursionismo con la sudata sul sentiero della polenta o con la galoppata occasionale ai confini dell’infarto”. Quante ne ho fatte, dell’una e dell’altra. Invece qui, col brutto tempo e magari d’inverno, si vede davvero se sei uomo: nel senso che della vita assapori ogni profumo e non ne perdi una briciola, un istante. Riscopri “un’empatia ‘sapienziale’, nei confronti delle asperità dei luoghi, che oggi non possediamo più”.

Giorno dopo giorno, un tweet (i virgolettati, sopra…) dopo l’altro: così, dallo scorso inverno, ho conosciuto le Valli di Lanzo e il loro messaggio. Una uscita, una salita dopo l’altra. Come se seguissi una guida, uno del posto, insieme ai tanti che salivano con lui o che twittavano anche loro. Una conoscenza attraverso i media eppure naturale, tanto da non aver bisogno di un’occhiata alle carte perché, come a volte accade in montagna, è più bello non sapere cosa vedremo all’improvviso risalendo l’antecima e farsi portare dall’istinto prima che dall’IGM, dalla Tabacco o dal GPS, e dimenticare pure gli attacchi di vie e sentieri memorizzati, sulle carte, la sera prima. Una conoscenza senza fretta, non programmata come una vacanza, ma scandita dalle stagioni e grata sia del bello che del brutto tempo. Una vera fuga dalla città, dove ci muoviamo come automi: come la città in cui vivo, Roma: grazie alle foto e ai tweet, che cito virgolettati, di @Beppeley.

Che resta di me, dopo questo ‘viaggio’ virtuale nelle Valli di Lanzo?

Quest’anno, per la prima volta, ho dovuto rinunciare alla montagna. Ho dovuto rinunciare alla mia ‘fuga’ come l’ho vissuta fino a poco tempo fa: desiderio, speranze, obiettivi, progetti, programmi, programmi alternativi in caso di brutto tempo, tempi contingentati. Un tour de force che doveva prevedere non solo viaggio, alloggio, logistica ma anche acclimatamento, progressività di adattamento alla quota, sentieri e poi vie sempre più impegnativi, ma anche pause di recupero, per arrivare alle sgroppate degli ultimi giorni, il tutto combinato con le esigenze di una famiglia in viaggio nella quale solo uno, io stesso, voleva salire più in alto, a volte ‘trascinando’ gli altri.

Quest’anno la montagna è stata solo virtuale.

Ma so che da ora in poi la montagna non sarà più quella che è stata, per me, fino a poco tempo fa. Sarà invece pazienza, ascolto. Sarà fare silenzio. Non sarà più un essere forse, a volte, addirittura ‘contro’ la Montagna: sarà essere ‘con’ la Montagna. Sarà fermarmi, col piede su un sasso e le mani sulle ginocchia, a guardare un fiore. E scoprire di essere felice. E sarà un ‘progetto’ per valorizzare tutto questo? No, non se ne parla nemmeno. Sarà impegno ad ascoltare e sostenere chi in montagna ci vive da sempre. Ascoltare per esempio chi dice che il Pasé, il bosco di abeti rossi delle Valli di Lanzo, non può essere attraversato da quelle che sembrano comuni strade forestali a servizio dei boscaioli e delle malghe: perché, infatti, quelle strade finora non sono mai esistite? Chi apre con la forza nuove strade non sa nulla della saggezza dei sentieri. Non sa ascoltare. Ascoltare il Racconto della Montagna. Ascoltarlo in silenzio: questo è ciò che va fatto. Questo ho imparato tra i boschi ed i ghiacciai delle Valli di Lanzo.

*Paolo Franscesco Mancini (http://francescopaolomancini.wordpress.com/) scrive della Natura in tutte le sue forme. Racconta l’impegno di chi lavora per un’ Economia sostenibile e per migliorare la Qualità della Vita di tutte le Persone. Ama la Bellezza.

4 pensieri riguardo “Le mie Valli di Lanzo

  1. Questo racconto di Francesco Paolo Mancini è ricco di tante emozioni, tu stai facendo un gran lavoro per le tue valli, hai una maniera accattivante e bella di farle conoscere a chi come me non c’è mai stato.
    E chi ama la bellezza non può far altro che seguirti ed apprezzare!

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    1. Ti ringrazio molto. Purtroppo stiamo riscontrando tristemete che le bellissime Valli di Lanzo sono prese letteralmente d’assalto da logiche di “sviluppo” che non puntanto nella direzione di una valorizzazione del bene paesaggio a fini turistici ma lo smantellano!

      Rimane di un’attualità drammatica la lettera che Paolo Rumiz inviò al 98° Congresso Nazionale del CAI che si è tenuto a Predazzo nel 2008:

      “Cari amici,
      E’ curioso che non possa essere qui tra voi perché il mio giornale mi ha spedito a occuparmi di montagna. Questa mia diserzione è figlia della stessa emergenza che sarà sul tavolo dei vostri lavori. Devo vedere cosa accadrà quando la scure dei tagli pubblici si abbatterà sulle ultime scuole lasciate a presidio delle valli più lontane e spopolate. Lo dico con dolore. Per l’ennesima volta devo monitorare un abbandono di terre alte che apre la strada ai… cinghiali, al degrado e al saccheggio delle risorse. Il mio disappunto per non essere qui a Predazzo è attenuato – ma solo in piccola parte – da questa mia “chiamata alle armi” a difesa dei territori di cui – oggi qui – vi occupate.

      Questa mia non è una semplice lettera formale di scusa per un’assenza. E’ qualcosa di più. E’ un’invettiva contro il degrado della montagna di cui vorrei che il Cai tenesse conto, e quindi vorrei fosse considerato un intervento a tutti gli effetti. Ritengo che i lavori sulla Tutela ambientale debbano essere prioritari su qualsiasi altra discussione, tale è l’emergenza che ci troviamo a fronteggiare. Tutto il resto – reclutamento soci, cultura, manifestazioni – sono quisquilie rispetto alla trasformazione biblica cui stiamo assistendo e che la civiltà dello spreco fa di tutto per non farci vedere nella sua reale gravità.

      Gli alpinisti non sono una casta. Essi fanno parte dell’Italia e per l’Italia devono esporsi con coraggio, senza guardare in faccia nessun governo, nessun colore politico, nessuna confraternita di pressione. Il Cai deve prendere coscienza di essere una lobby e di avere una massa critica e una capacità di pressione sufficienti a cambiare le cose, una forza d’urto che da esercitare, se necessario, platealmente, con iniziative clamorose. Non ci sono più alibi per defilarsi.

      Ho cominciato a frequentare la montagna da bambino. Ho sognato le prime arrampicate leggendo “Alpinismo Eroico” di Emilio Comici e talvolta ho rischiato la vita da incosciente. Erano gli anni in cui, specialmente nella mia Trieste, le Alpi erano le sentinelle della Nazione. Da Aosta a Tarvisio gli Alpini uscivano ancora con i muli. Poi è arrivata la stagione adulta, il sesto grado, le nuove vie aperte in Pale di San Martino, nel Gruppo dell’Agner, nelle Dolomiti della Sinistra Piave. Poi a trent’anni ho lasciato l’arrampicata e ho messo famiglia, ma ho continuato a frequentare le crode con occhio attento alle genti e al loro habitat.

      Negli anni seguenti ho raccontato l’Alpe come giornalista, ma più la percorrevo più aumentava l’insofferenza per certo alpinismo – ginnico e narciso – che puntava all’estremo ignorando ciò che circondava lo strapiombante itinerario verso la vetta. Essi non vedevano l’agonia dei ghiacciai, l’inselvatichirsi del territorio, la desertificazione dei villaggi, la requisizione delle sorgenti, l’aggressione agli ultimi spazi vergini, la cementificazione degli altopiani (povera Alpe di Siusi!), la costruzione di impianti di risalita nel cuore di parchi naturali (San Martino). Non reagivano allo smantellamento del paesaggio che la nostra Costituzione ci impone di tutelare.

      Nel 2003, l’anno della grande sete, ho monitorato le Alpi, in un affascinante viaggio di quattromila chilometri dal Golfo di Fiume fino alle Alpi Liguri. Ne ho tratto un racconto uscito a puntate su “la Repubblica”. Il Grande Male era visibile ovunque, ma l’epicentro dell’orrore era il prosciugamento dei fiumi. Mai nella storia d’Italia erano stati così spaventosamente vuoti. Il Piave, teoricamente sacro alla Patria, ma praticamente ridotto a un rigagnolo, era un greto allucinante spesso più alto delle stesse strade che lo costeggiano. Uno stupro perpetrato dalla stessa Enel che aveva ereditato il Vajont.

      Non esiste in Europa un Paese con i corsi d’acqua nello stato pietoso di quelli italiani. Non mormorano più, sulle nostre valli è scesa una cortina di silenzio funebre di cui nessuno parla. La gravità della situazione non sta solo in quelle ghiaie allucinanti, ma nel fatto che pochissimi le notino, nel fatto che TUTTO attorno a noi – dalla pubblicità audiovisiva nelle stazioni alla dipendenza nazionale dai telefonini – è costruito perché non ci rendiamo conto del disastro e continuiamo a dormire sonni tranquilli fino a requisizione ultimata delle risorse superstiti.

      L’opinione pubblica dorme, sta a noi del Cai svegliarla. Sta a noi, innamorati della montagna, ricordare che l’Italia è malata e nonostante questo c’è chi vuole succhiarle le ultime risorse. Una notissima multinazionale dell’alimentazione sta apprestandosi a requisire le ultime fonti dell’Appennino tosco-emiliano; altre società hanno catturato le residue sorgenti libere della Valtellina con la scusa di preservare una risorsa preziosa. Si inventano eufemismi per consentire gli espropri: per esempio “neve programmata”, per nobilitare quel salasso di fiumi moribondi che si chiama innevamento artificiale.

      Si afferma che pompare acqua dai fiumi serve a sostenere l’economia della montagna e quindi a evitare lo spopolamento, ma anche i citrulli sanno che quegli impianti affogano in deficit spaventosi che la mano pubblica, resa sensibile da opportune donazioni, sarà chiamata a coprire con i nostri soldi. E tutti, nel comparto, sono a conoscenza che più nessuno in Austria, Francia, Slovenia, Svizzera e altre nazioni montanare d’Europa, programma più seggiovie a quote dove la neve non arriva se non episodicamente.

      Ma la scoperta della mia vita di giornalista è stata l’Appennino, che ho percorso metro per metro nel 2006, dando vita a un’altra serie di reportage. Ho trovato un arcipelago di meraviglie e una rete di uomini-eroi che si ostinano a resistere in quota perché hanno la lucida certezza che l’equilibrio del nostro Paese dipende dalle terre alte. Un’Italia minore, dimenticata dal potere, della quale temo che il nuovo federalismo in auge servirà solo a sdoganare il saccheggio.
      Il simbolo di questa aggressività suicida del Paese verso la sua montagna l’ho visto incarnato nella pastorizia, massacrata di divieti e schiacciata da un’alleanza fra burocrati di provincia e una grande distribuzione che spaccia nei nostri negozi carne straniera senza nome e senza qualità. La pastorizia, cenerentola dimenticata, dopo essere stata per secoli inestimabile ricchezza del Paese.
      Sempre più spesso capita che ai piccoli comuni spopolati e in bolletta si presentino emissari di grandi aziende che, in nome dell’equilibrio ambientale e altre cause nobili come l’abbattimento del CO2 o il salvataggio delle acque, propongano la costruzione di piccole o grandi centrali, come quella a biomasse che presto stravolgerà la parte più intatta dell’Appennino parmense. Senza più lo Stato alle spalle, questi Comuni non hanno più gli argomenti tecnici e la capacità contrattuale per dialogare alla pari con questi giganti danarosi, capaci di mettere a tacere qualsiasi resistenza. La montagna da sola non ce la fa a proteggersi. Anzi, talvolta è la peggior nemica di se stessa.

      Per questo credo che, oggi nel Cai, il ruolo di sentinella dell’Alpe vada rivisto. Noi soci restiamo sentinelle, certo: sapendo però che il nemico non è più esterno alla frontiera, ma abita qui e si muove come vuole nella finanza, nell’economia e nella politica del Paese. Per batterlo serve un’alleanza fra città a provincia, alpinisti e montanari. Il Cai deve ritrovare lo spirito delle origini, laico e indipendente dell’Italia post-risorgimentale che partì alla scoperta di se stessa, monitorando, cartografando, esplorando con passione ogni angolo sperduto del territorio appena unificato. L’Italia è un Paese di montagna, e non voglio che diventi un’esausta colonia, a disposizione di poteri senza patria.

      “E verrà un giorno in cui i fiumi si svuoteranno, l’aria diverrà veleno, i villaggi saranno abbandonati come dopo una pestilenza, giorni in cui la neve e la pioggia smetteranno di cadere, gli uccelli migratori sbaglieranno stagione e gli orsi non andranno più in letargo. Verrà anche un tempo in cui gli uomini diverranno sordi a tutto questo, dimenticheranno l’erba, le piante e gli animali con cui sono vissuti per millenni”.

      Sembrano le piaghe d’Egitto. Invece è l’Italia di oggi. Pensate che uno ci dica tutto questo, un profeta solitario incontrato per strada. Gli daremo del matto? Oppure taceremo per la vergogna di ammettere che è già successo e di non aver fatto niente per impedirlo?”

      Paolo Rumiz

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  2. Anche per me la montagna,per il primo anno quest’estate è stata solo “virtuale”, e saprai bene che vuoto possa essere per chi la montagna ce l’ha nel cuore. Grazie Beppe per tutte le foto ma soprattutto per queste bellissime riflessioni che esprimono quel che le poche righe di Twitter non riescono a dire.
    Sono con te nella lotta contro lo sviluppo incontrollato e insensato della montagna, purtroppo non sai quanti bei sentieri che percorrevo son diventati aride sterrate quando poi non hanno aggiunto impianti di sci dappertutto per collegare l’impossibile (parlo della Val d’Aosta che conosco bene). Dobbiamo accontentarci di una montagna ferita per far piacere a chi in montagna ci vuol salire senza far fatica, ma questa non è più montagna!
    “Ma so che da ora in poi la montagna non sarà più quella che è stata, per me, fino a poco tempo fa. Sarà invece pazienza, ascolto. Sarà fare silenzio”
    Pazienza e silenzio sono virtù di chi vive in montagna, virtù troppo spesso calpestate.

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    1. Grazie a te Lucia! Sono contento che tu sia anche qui. Anche tu “camoscio bianco”!
      È importante esprimere la propria opinione perché solo facendo rete possiamo tentare di resistere!
      Grazie ancora!

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