La leggenda dell’Uomo Selvatico

Il giornalista Carlo Grande ci parla del Carnevale e delle figure mitologiche come quella dell’Uomo Selvatico presente in tutto l’arco alpino.

La prima volta che ebbi l’occasione di sentire parlare di queste leggende, fu durante un ciclo di incontri serali organizzato dal CAI di Torino alla fine degli anni ’90. Tra i vari partecipanti ci fu anche l’allora vicepresidente del CAI, Annibale Salsa. Rimasi molto impressionato dalla sua competenza e bravura nello spiegare dell’importanza di certe figure nella cultura alpina.

Ecco l’articolo interessantissimo comparso nella rubrica “Mertedì tempi degli animali” del quotidiano “La Stampa” nell’edizione del  7 febbraio.

Qui sotto invece riporto un articolo scritto proprio da Annibale Salsa sulla figura dell’Uomo Selvatico.

“L’interesse per l’Uomo Selvatico accomuna studiosi ed appassionati di montagna per il fascino che evoca in una società come la nostra sempre più artificiosa e virtuale. L’osservazione diretta del mondo alpino non consente più, infatti, di ritrovare facilmente tracce visibili di quella “presenza/assenza” che in passato ha contribuito ad alimentare l’immaginario popolare della gente di montagna. Ma residue testimonianze di storie orali e ricerche mirate di carattere antropologico come quelle di Massimo Centini possono risvegliare l’interesse per un fenomeno così lontano dalla mentalità dell’uomo contemporaneo. Rappresentazioni iconografiche dell’uomo selvatico se ne trovano ancora qua e là tra le montagne, ma certamente la meglio conservata e più nota è quella di Sacco in Val Gerola (provincia di Sondrio). Si tratta di un affresco del 1464 all’interno del quale, accanto alla figura coperta di peli e che impugna un bastone, compare la scritta «E sonto un homo salvadego per natura, chi me ofende ge fo pagura». Anche nello stemma di una delle tre leghe che hanno costituito il Cantone dei Grigioni (Svizzera) compare una figura di questo tipo. Nell’arco alpino da ovest ad est la tradizione popolare gelosamente custodita dalle residue sacche dialettali tramanda racconti e leggende popolate da queste figure a metà strada tra umanità ed animalità non addomesticata. Le espressioni più ricorrenti che vengono attribuite all’Uomo Selvatico riguardano riferimenti metereologici e climatici legati alla proverbiale paura de ”l’aria”(il vento) da parte del Selvatico. Essa è racchiusa in espressioni fino a qualche tempo fa reperibili nel patrimonio orale dei nostri contadini liguri e piemontesi e che suonava così (pur con diverse varianti locali come la seguente da me registrata direttamente nel savonese): «Quande u cioeuve u cioeuve, ma quande u fa ventu u fa gramu tempu». L’Uomo Selvatico rappresenta, infatti, una sorta di “bastian contrario” per il fatto che è di buon umore durante le precipitazioni e di cattivo umore in presenza di cielo sereno. Ecco la spiegazione: nelle giornate uggiose vive l’attesa del ritorno del bello, in quelle serene avverte il senso della precarietà e dell’effimero. La paura del vento si lega strettamente ad un immaginario contadino in cui il vento arreca danni all’agricoltura ed innervosisce gli animali domestici. Ma la selvatichezza del nostro uomo è anche simbolo di genuinità e di autenticità di fronte alla malvagità della società umana. Un’opposizione che ripropone con semplicità la dicotomia rousseauiana tra bontà della natura e corruzione della società, tra Homo Natura e Homo Cultura. Il Selvatico, timido e pauroso, materializza simbolicamente, come si vede, la soglia critica tra selvaticità e domesticità, una presenza “liminare” che costituisce quasi una frontiera ecologica. Se non viene disturbato e deriso il Selvatico non disdegna di rendere partecipi gli uomini di alcuni segreti di cui egli è custode come, ad esempio, le tecniche di cagliatura del latte per la produzione dei formaggi. O anche di prestare servizio di custodia delle greggi e mandrie nei prati o pascoli. Ma la sua dimora di elezione rimane sempre e comunque il bosco di cui conosce tutti i segreti protettivi e terapeutici. Le testimonianze della presenza dell’Uomo Selvatico lo segnalano un po’ in tutto il mondo ma in particolare nelle zone di montagna. In Italia la tradizione lo registra prevalentemente sull’arco alpino e sull’appennino settentrionale. Troviamo così le diverse espressioni dialettali di Ommu Sarvegu in Liguria, di Sarvanot nel Cuneese, di Homme Sarvadzo in Valle d’Aosta, di Wild-man nelle valli di lingua tedesca, di Omeon in alta Valtellina, di Bilmon tra i Mocheni del Trentino, di Fanes in val Badia, di Salvanel nelle valli ladine dolomitiche, di Om di Bosch nell’Appennino emiliano solo per citare i più rappresentativi. Ma che cosa sarà mai lo Yeti tanto caro e ricercato da Rheinold Messner se non l’Uomo Selvatico himalayano? La cultura della montagna era anche questo: una sfida simbolica verso la società de-simbolizzata. L’importante è saperla ancora interrogare attraverso una frequentazione consapevole”.

Annibale Salsa

Buon Carnevale!

16 pensieri riguardo “La leggenda dell’Uomo Selvatico

  1. Buongiorno, molto interessante questo blog di cultura montana.
    Tra gli Uomini Selvatici, nel mio piccolo, aggiungo quello della tradizione orale di Vonzo (paesino della Val Grande di Lanzo). Il selvaij. Si attaglia molto bene alla descrizione.

    Buone montagne!
    Marco

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  2. Grazie Flaco, mi fa molto piacere ricevere un tuo apprezzamento.
    Amando molto la zona di Vonzo, sarei tanto felice se avessi voglia di darmi qualche indicazione su come saperne qualcosa di più

    Buone montagne a te!

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    1. Grazie a te, per quanto scrivete. Sull’uomo selvatico di Vonzo non saprei a chi indirizzarti, ma se trovo qualche info ti faccio sapere. Oggi sono rimasti davvero pochi lassù… Il mio è un ricordo dei racconti della nonna (era nata lì), ricordi affascinanti su queste “leggende” a tradizione orale.

      Interessante anche l’elemento di giunzione uomo-natura cui fa riferimento l’articolo. In effetti l’uomo non era “cattivo”, piuttosto custode di un segreto incompreso e indecifrabile, per questo isolato dalla civiltà del paese.

      Buona domenica

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    2. Beh l’uomo selvatico rappresenta il druido…e c’è non solo nell’arco alpino, ma anche nel sud italia, dove è detto l’omo sabbaggiu che in genere si accompagna a Yukebok ( la capra di Odino) oggi chiamata U Cavaduzzo o Camiddu. I wildmen o green men hanno resistito in Svizzera, oltre che nell’Italia del sud e qualche paese alpino. Famosi sono i sylvesterchlausen dell’Appenzello. Il santo che ha preso il posto dell’uomo selvatico è Onofrio.

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      1. Grazie mille delle tue informazioni.

        Però è la prima volta che leggo dell’assmilazione del druido con l’Uomo Selvatico.

        Se hai qualche riferimento bibliografico, faccelo sapere. Grazie.

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        1. L’Uomo Selvatico non credo abbia molta connessione con i druidl.. la presenza celtica in Italia è molto sopravvalutata, essenzialmente erano nel Piemonte del nrd (mescolati con i Liguri), a Milano (i Cenomani), in Insubria, a Brescia; poi in Emilia e in Romagna, fino a Senigallia nelle Marche, infine in Carnia dove venivano dal Danubio. Non credo che ci siano neanche molti rapporti con Odino, perché è presente nel sud Italia, ma non nei paesi longobardi. E’ una figura, per me, di tipo dionisiaco, affine al Sylvanus latino, ai satiri greci, ovviamente a simili figure nel mondo celtico come Svizzera ed Appenzell. Interessante il riferimento sant’Onofrio. Il sostrato comune è antichissimo! Nel sud è famoso come esempio di Uomo Verde il “romito” di Satriano. saluti, Francesco

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  3. Ciao a tutti,

    l’om selvaij,
    lu disertur,
    jobb….

    tre personaggi di Vonzo, probabilmente i primi due sono la stessa persona.

    Un disertore, probabilmente prima della grande guerra, abitava sotto una “balma” sotto la “Guretta” a destra dei “Prajas” e sopra la sorgente di “Funtanafredda”.

    Gli abitanti di Vonzo gli portavano le capre a pascolare, sopra al ponte di pietra che si vede dal ponte che va al Soglio, e gli portavano la “merenda” sì la merenda…, che era l’unico pasto di questo personaggio. Veniva legata alle corna delle capre…, una capra, un giorno di “merenda”, e si faceva il giro di tutte le capre, poi si ricominciava dall’inizio.

    Mai questo disertore (chissà di quale guerra) fu tradito dagli abitanti di Vonzo.

    Stessa storia fu del selvaij, probabilmente è la stessa storia, ma il detto, “quando piove …piove, ma quando c’è vento c’è CATTIVO tempo” la dice lunga sul “selvaij”, rimettendosi al malessere ed al nervosismo che il vento crea all’essere umano.

    Jobb (Giobbe) altro personaggio di Vonzo, chiaramente questa storia è un po più “fantastica”, ma c’è chiaramente un fondo di vero…, un giorno Gesù si presenta a lui, chiedendogli. “Ma Jobb, perchè vivi su di un liameè (concimaia)” Ma… per quei 300 anni che mi restano da vivere, perche dovrei farmi una casa? Fu la sua risposta. Da quel giorno gli esseri umani non hanno più saputo qual’è il loro ultimo giorno di vita.

    Due storie, di alcune, che mia madre, mi ha trasmesso (io sono “lu fij, dla fej, ad Pinet dla Puarta), orgoglioso di avere le mie lontane radici in Vonzo, che purtroppo, abitando a quasi 500 Km da quel luogo, conosco poco, ma….

    Lu “magister” di Vonzo, morto un paio di anni or sono, era il vero cultore di Vonzo, che ora solo la moglie è custode di questa memoria storica. L’interfaccia potrebbe essere Carlo, anzi, “CARLIN” (basta la parola a Vonzo) persona di infinita cultura ed umiltà che ne fa un “grande”, anzi invito Marco, ad un contatto con lui, per avere info dalla moglie del “magister”, che si è data disponibile a trasmettere le memorie del marito.

    Ciao a tutti

    Rok 64

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    1. Ciau Piero,

      bello rileggerti ed e’ piacevole sentire raccontare queste “tue” tradizioni orali.
      E’ un peccato che si fermi il tramandarle…finche’ ci saranno persone interessate a farlo non cadranno nel dimenticatoio.
      Speriamo anche che le memorie di Carlin vengano raccolte e trasmesse.

      Ciau

      Serpillo1

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  4. Da un antro della mia memoria e’ riapparso il Selvatico del Tourn. Si spostava tra il Monaviel e Le Courbassere dove ci sono ci le cave di pietra ollare (zona che si chiama “Bouiri dou Servagiu”) fino poi a scomparire perche’ deriso da alcuni locali.

    Serpillo1

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    1. “Detto anche uomo dei boschi, il selvatico fu chiamato pagano perché verosimilmente legato
      ad antichi culti precristiani. Parlava in rima ed amava i proverbi, praticava l’arte casearia,
      viveva in una grotta o in un riparo sottovento e conosceva i segreti della natura.
      La donna selvatica era una creatura luminosa ed eterea, amante della danza; insegnava la
      filatura alla donna civile e riaccompagnava nel villaggio i bambini che si smarrivano nel
      bosco.”

      http://www.museodellavalle.it/eventi.php/it/il-mito-dell-uomo-selvatico-nella-montagna-bergamasca/417

      b.

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